C'era una volta Ennio Vitanza, telecronista garbato, soft, magari un po' soporifero: se si incrociava con una partita noiosa, potevi abbandonarti all'abbraccio del divano fino al novantesimo. Oggi no, ti farebbero sobbalzare anche per un calcio d'angolo del Congo belga. Gli urlatori hanno preso il sopravvento anche nelle telecronache: dalle «sciabolate» e dagli «incredibile» di Piccinini in poi, l'iperbole è obbligatoria. Se pensiamo che Bruno Pizzul definì il gol di mano di Maradona all'Inghilterra una «gherminella»... Il problema è che adesso non urlano più solo i Caressa e i Pardo, ma l'epidemia ha contagiato addirittura le seconde voci, quelli che dovrebbero essere gli opinionisti, i commentatori tecnici. L'intrattenibile Daniele Adani, «ha parlato Messi, io ho solo trasferito...», in delirio per un semplice gol dell'Argentina contro il Messico (e siamo ancora ai gironi di qualificazione...), ci fa preoccupare per quello che ci attende nelle fasi finali.
Ma la deriva è ormai questa, fa parte del calcio moderno. Enrico Ameri alla radio alzava leggermente il tono per dire «rete», adesso devi capire che una squadra ha segnato quando il radiocronista urla a squarciagola il cognome del marcatore. E se non sai di che squadra è, pazienza. Ma oggi l'urlo è al comando e ora monta la rivolta contro queste esagerazioni fra i telespettatori («chiediamo alla Rai un maggior equilibrio e rispetto del pubblico», così l'Assoutenti radiotv) e sui social (con Adani battezzato da mitomane a cavernicolo), ma non sarà facile invertire la rotta. Il problema è che queste seconde voci una volta dovevano avere delle patenti di campionissimi: la Rai cominciò niente meno che con Sandro Mazzola, poi arrivò Giacomo Bulgarelli, mentre sulle altre reti cresceva Josè Altafini, forse il primo ad andare sopra le righe, ma sempre in modo pittoresco e mai invadente. Il problema dell'opinionista urlatore, e molto spesso anche del telecronista, è che la gente in genere si mette davanti alla tv per vedere la partita, non per sentire loro. E chi commenta dovrebbe avere primariamente la funzione di aiutare il telespettatore a individuare i giocatori. Adesso i commentatori tecnici sono spesso allenatori mancati o falliti, che però ti riversano nelle orecchie una valanga di dati sulle loro opinioni tattiche o sui giocatori più strani e sui campionati più lontani, ti sanno dire quanti retropassaggi ha fatto Abdulaziz Hatem nell'Al Rayyan o quante volte Minkiu Song ha crossato per Guesung Cho nel campionato sudcoreano, senza pensare che ti stanno parlando di personaggi che lo spettatore medio incrocia per la prima e ultima volta nella vita in questo Mondiale.
Il vecchio Nando Martellini, ormai in pensione ma richiamato in servizio per i Mondiali di Italia '90, incaricato di commentare
Uruguay-Corea del Sud cominciò dando la formazione della Celeste, poi osservò candidamente: «È inutile che vi elenchi i nomi dei coreani, quando sarà il caso li menzioneremo durante la partita». L'abbiamo vista lo stesso.
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