Otto giorni. Tanto è durata l'avventura portoghese di Sinisa Mihajlovic, che aveva appena firmato un triennale da 2 milioni a stagione con lo Sporting Lisbona. Un club che sta vivendo mesi turbolenti: lo scorso 15 maggio aveva fatto scalpore il pestaggio dei giocatori da parte degli ultras dopo la Champions sfumata all'ultima giornata, mentre nel weekend il direttivo della società ha esautorato il presidente Bruno De Carvalho che fra l'altro era sospettato di aver organizzato quell'indegna aggressione. Caduto in disgrazia il presidente, è tornato subito in discussione l'accordo col tecnico. E probabilmente si aprirà un contenzioso perché lo Sporting punta sul fatto che ancora non ha diretto un allenamento e la rottura è avvenuta durante i 15 giorni di prova. Il tutto mentre 9 giocatori hanno chiesto la cessione e il povero Viviano aveva appena accettato di trasferirsi a Lisbona proprio su richiesta di Sinisa.
Non è la prima volta che in Portogallo un allenatore «italiano» dura come un gatto in tangenziale, la memoria corre al 2004 quando il Porto licenziò Gigi Delneri prima dell'inizio della stagione per dissapori con lo spogliatoio. Quella fu un'estate di addii precoci, anche Prandelli fu costretto a lasciare Roma per la malattia della moglie. Di solito sono i presidenti a prendere l'iniziativa, come al Bologna nel 2010 quando Colomba fu cacciato alla vigilia della prima di campionato o al Cagliari l'anno dopo quando Cellino scaricò Donadoni a Ferragosto. Ovviamente pure Zamparini ha un esonero-lampo nel curriculum, quello di Pioli a Palermo.
Ma ogni tanto succede che a fare dietrofront sia l'allenatore: il caso più recente è quello di Bielsa che nel 2016 mollò la Lazio due giorni dopo aver firmato. Col senno di poi, vista la riuscita di Inzaghi, senza rimpianti per Lotito... FMal- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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