È italiana la storia sportiva più bella e commovente dell'anno. Abita dentro gli appassionati di atletica, ma starebbe bene nella casa di ognuno di noi. Per farla entrare è sufficiente aprire la porta, magari accendere la tv e lasciare accomodare questo ragazzo alto alto e magro magro che domani all`ora di pranzo scenderà in pedana a Londra. Si chiama Gianmarco Tamberi e ha molto da raccontare e insegnare. Soprattutto, ha parecchi conti con la sorte da sistemare perché sfiderà il mondo con solo due mesi di vero allenamento nel corpo e con addosso gli effetti di due operazioni alla caviglia che gli hanno devastato animo e sogni per un intero anno.
Sono passati tredici mesi da quella fottuta notte di Monte Carlo, era il 15 luglio, quando l'azzurro campione del mondo indoor saltò tentando di volare oltre i 2 e 41 ma portandosi dietro una caviglia rotta al momento dello stacco e addio Giochi, addio podio, addio sogni e «voi non potete sapere che cosa ho dovuto passare in questi mesi...». Ha ragione Gimbo. Noi sappiamo delle due operazioni e delle due rieducazioni; e sappiamo dell'intervento del 19 luglio e di quello imprevisto a fine gennaio, che l'ha poi ricacciato nell'incubo. Non sappiamo nulla del «percorso infinito che ho dovuto affrontare, non sappiamo «di quei momenti, quando all`improvviso, nello spogliatoio, scoppiavo a piangere», ricorda con un sorriso velato di tristezza. «E per questo mi emoziona essere qui, oggi, e ringrazio i medici che mi hanno operato, ringrazio i fisioterapisti, ringrazio la gente vicina e il sostegno avuto dai fan... quanto affetto ho ricevuto».
E quanto bisogno hanno di lui, in primis l'atletica italiana, ma anche quella mondiale. Il giorno in cui Gimbo si infortunò c'era il tutto esaurito a Monte Carlo, Golden Gala, e chi si presentava con mezza barba, il suo simbolo, «Halfshave» il soprannome, entrava gratis per assistere all'impresa di questo piccolo Bolt d'Italia. Anche a Londra sarà mezza barba, ma niente biglietti omaggio. Però il pubblico londinese e l'atletica che da giorni si stanno interrogando, preoccupati, su quel che sarà nel dopo Usain, non potranno non dare un occhio a questo ragazzo capace, dalla pedana, di affascinare gli appassionati. «Ci sono stati momenti in cui avrei voluto liberarmi dal peso che mi ero creato io stesso per rientrare a Londra a tutti i costi, ma ho stretto i denti e proseguito», confessa Gianmarco. «In questi mesi ho rifiutato interviste, ho evitato di parlare, ma adesso ho capito che il peso di tenere tutto dentro mi aveva creato extra pressione e allora, sì, adesso me ne libero e vi dico che sono venuto qui per aggrapparmi a una medaglia, che a volte salto all'80% delle mie possibilità e a volte al 20, che ho degli alti e bassi, e che potrei non andare in finale ma potrei anche vincere una medaglia. Sono qui per questo... Quanto ci vuole per le medaglie? Ci vogliono 2 metri e 33... E io posso fare 2 e 25 come 2 e 35, chissà...».
I rivali sono quelli di sempre. Li analizza Gimbo, ma lo fa con imbarazzo. Perché nell'alto, grazie al suo modo di vivere le gare, è successa una cosa magica: adesso, oltre alla competizione, c'è vicinanza umana. Cosa rara nello sport ad alto livello. Su Mutaz Bashim, ad esempio, il quatariota, il numero uno (2 e 43, il personale), dice «se non si fosse fatto male sarebbe oro sicuro. Vedremo... A Parigi, poche settimane fa, quando feci tre nulli e via, mi chiusi in camera d'albergo. Lui rimase mezzora fuori chiedendomi di entrare e una volta dentro mi parlò a lungo per consolarmi...». Sull'altro colosso, Bohdan Bondarenko (2 e 42), l'ucraino, parole simili: «È in un periodo di calo però durante l'inverno, lui che non saluta nessuno, mi ha mandato le cartelle cliniche e i tempi di recupero di quando si era infortunato...».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.