Dal nostro inviato a Londra
Non c'era solo il mondo, in tribuna, a vedere il presente diventare mito. Usain Bolt e il suo ultimo cento. C'era il futuro in tribuna, il futuro di quest'Italia che nell'atletica ha seminato tanto e ora aspetta solo che le buone piante germoglino. C'era una di queste in tribuna, nascosta ad osservare il mito all'ultima gara dopo l'allenamento del pomeriggio. Viene da Milano ma il sangue è quello crudo e schietto dei sardi: si chiama Filippo Tortu, al debutto mondiale, 20''34 nei 200 che inizierà ad affrontare nelle batterie da domani (10''15 il personale sui 100), lo allena papà Salvino. Una famiglia di velocisti la sua, che attinge la passione nel Dopo guerra, con nonno Giacomo, 10''91 nei 100 di una vita fa. Ha promesso così, Filippo, nel pomeriggio, parlando nel cuore di Londra, ha promesso che sarebbe andato in tribuna per Usain. Poi, con un sorriso timido, ha raccontato un po' di sé e del proprio fisico che lo guardi e ci pensi e sogni che un giorno, massì, perché no, in fondo assomiglia un po' al mito che ieri ha detto addio.
Ricordi un po' quel lungagnone muscoloso di Bolt.
«In effetti, proprio grazie a Usain si è affacciata una nuova generazione di atleti. E gliene sono grato. Vent'anni fa, con questo fisico così alto, mi sarebbe toccato fare gli 800. E io non amo faticare, per questo ho scelto 100 e 200».
Dicono che la tua corsa ricordi quella di un grande azzurro, Livio Berruti. Naturalezza nella corsa.
«Più che nella corsa, penso di assomigliargli come carattere. Quest'anno l'ho conosciuto e ho capito di intendere lo sport e l'atletica come lui».
Quali sono i punti comuni?
«Lui aveva un approccio spensierato e al tempo stesso determinato. È stata una scoperta fondamentale per me».
All'epoca forse si riusciva, ma con le pressioni di oggi come si riesce ad essere determinati e spensierati al tempo stesso?
«Penso che tutto dipenda dal carattere delle persone. Il mio, ad esempio, mi porta ad affrontare in modo tranquillo anche le tensioni. Vivo sereno, quindi alla fine non sento tanto la pressione. Anzi, quella che avverto mi fa pure piacere. In parte sono io, in parte è merito dell'educazione ricevuta dai miei genitori».
E in cosa ti ritrovi in Berruti a livello tecnico?
«Mi piacerebbe riuscire a fare la curva dei 200 come veniva a lui».
E all'altro grande campione della nostra velocità cosa vorresti prendere?
«Di Pietro Mennea vorrei il finale. Dai, metto insieme la curva di Berruti e l'efficacia del finale incredibile di Pietro e sono a posto».
Prima hai detto che per fortuna Bolt ha aperto la strada a un nuovo tipo di velocista. Aggiungiamo ora che per fortuna lascia. Per cui si può sognare...
«No, no, anche fosse rimasto, la sua presenza non avrebbe condizionato il mio approccio alla velocità.
Avrei comunque continuato, come sto facendo adesso, a costruire la mia carriera valorizzando le caratteristiche che ho... Però l'ultimo cento di Bolt non me lo perdo proprio. E adesso vado al campo d'allenamento. Chissà mai che lo non lo incontri...».
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