Tradito dal cuore? Giallo sulla morte di vichingo Oen

Tradito dal cuore? Giallo sulla morte di vichingo Oen

La morte lo ha colto di sorpresa. Non in piscina, dove forse Alexander Dale Oen era troppo veloce anche per la Signora con la falce, ma in albergo. Il nuotatore norvegese è crollato a terra tra il bagno e il corridoio della sua stanza di Flagstaff, Arizona, dove era impegnato nel collegiale con la sua nazionale. E non si è più rialzato. I compagni lo hanno trovato privo di vita lunedì sera, dopo che lo avevano atteso invano per la cena. Dale Oen aveva effettuato un allenamento leggero, fatto perlopiù di fisioterapia. Prima una partita di golf tra amici. Insomma, una giornata rilassante. Anche troppo, per il ranista più veloce al mondo. Ma al ritorno in camera il suo cuore di ragazzone 26enne ha smesso di battere. Così, all'improvviso. Come è successo a tanti atleti prima di lui, da Renato Curi a Germano Bovolenta e Piermario Morosini. La polizia statunitense predica calma: «Ci vorranno alcune settimane per stabilire le cause del decesso». Difficile dunque parlare di arresto cardiaco o meno.
Sconvolta la selezione norvegese, che domani dovrebbe far ritorno in patria. «Non assumeva farmaci di alcun tipo», assicura Ronsen Ola, il medico della nazionale che ha prestato a Dale Oen il primo soccorso. Senza defibrillatore, perché nel kit medico non c'era. Lo si è utilizzato soltanto dopo, con l'arrivo dell'ambulanza. Ma forse sarebbe cambiato poco. Chiaro che l'ennesima tragedia nel mondo dello sport alimenti sospetti. Il presidente del Coni Petrucci non contribuisce a metterli a tacere. «Lo sport italiano è all'avanguardia nei controlli insieme agli Stati Uniti. Diffidate invece di quei paesi in cui il doping non c’è». A Oslo pensano ai funerali di Stato, perché Dale Oen non era solo un nuotatore eccezionale, capace di conquistare medaglie d'oro agli Europei e ai Mondiali. Quando la scorsa estate trionfò a Shanghai, davanti al nostro Scozzoli, fece tornare il sorriso a una nazione intera, che negli occhi aveva ancora le immagini del massacro dell'isola Utoya. Lui stesso si era commosso in mondovisione, ricordando le 77 vittime.
Fabio Scozzoli è choccato: non se lo vedrà sfilare a fianco a Debrecen per gli Europei, o a Londra per l’appuntamento più atteso, quello olimpico. «Lo chiamavo “vichingo buono”, mancherà a me e a tutto il mondo del nuoto - dice l’azzurro argento mondiale - È una cosa che veramente non riesco a realizzare, me ne renderò conto quando agli europei non lo vedrò più al mio fianco». La causa della morte? «Credo una cosa ereditaria al cuore - continua il ranista azzurro - che non è preventivabile.

Noi a livello cardiaco siamo molto controllati, ma quando la natura deve fare il suo corso non ci si può fare nulla. È vero, il nostro è uno sport che fatto a questi livelli è stressante. Ma penso che qui si tratti solo di natura».

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