Quando la Samp sfiorò la coppa dei Campioni

ll Doria di Boškov accarezzò un sogno impossibile, infranto soltanto nei tempi supplementari

Koeman calcia la punizione decisiva
Koeman calcia la punizione decisiva
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Batte i polpastrelli sulla macchina da scrivere, ancora una volta, ma sa che quello è l’ultimo comunicato. In fondo lui coltiva un sogno lucido, per quanto apparentemente folle: da addetto stampa della Sampdoria a proprietario. Dalle pagelle scrupolosamente consegnate ai colleghi giornalisti, per informarli di come giudica il loro lavoro, al timone di un club che trasuda anima da ogni fessura. Il passo non è lungo, di più. Eppure le fortune incamerate con il suo gingillo parallelo - una cosetta chiamata mercato del greggio - adesso fanno la differenza. Così Paolo Mantovani - anni 49 e molta voglia di selezionarsi da solo il destino - colma una distanza sesquipedale e, nel 1979, afferra le briglie della società.

Tredici anni più tardi il volto di un club che sguazzava nelle retrovie del calcio italiano è levigato da corroboranti lifting. Meticoloso e ponderato, ogni anno il presidente acquista un potenziale campione ed evita di vendere i migliori. La crescita del Doria diventa irresistibile. In bacheca vengono premute coppe italia, supercoppe, una coppa delle coppe e, incredibile a dirsi, lo scudetto.

Adesso che è una sera di maggio del 1992, nella pancia del vecchio Wembley, Paolo contempla la sua creatura. Ancora non può sapere che gli resta soltanto un anno: un cancro ai polmoni lo assedierà senza sosta, avversario ingiocabile anche per uno come lui. Ora scruta Boškov e i suoi ragazzi mentre si aggirano sull’erba immacolata. Sa di aver condotto la Samp al suo apogeo. Manca soltanto un passo.

Ultima edizione della coppa dei Campioni. Tra un anno la giungla onnivora degli sponsor e dei primi diritti tv traccerà traiettorie che collidono con il romanticismo. La Champions League manderà in pensione il vecchio format per strizzare l’occhio alle urgenze del mercato. Ma intanto si gioca. I blucerchiati sono arrivati in finale senza eccessive paturnie. Hanno spazzato via il Rosenborg (7-1) e, pur tossicchiando, hanno spedito fuori carreggiata la sempre temibile Honved di Budapest.

I quarti di finale sono un boccone inedito: l’Uefa stabilisce che si debbano giocare con due gironi all’italiana. La Samp piazza i gomiti davanti a Stella Rossa, Anderlecht e Panathinaikos. Dall’altra parte fa altrettanto un’avversaria che si appresta a tiranneggiare il calcio continentale: il Barcellona di Crujiff. Brutta storia, specie perché i blaugrana hanno già sconfitto i genovesi nel 1989, in finale di coppa delle coppe. Ora hanno cambiato molti giocatori, ma sono - se possibile - ancor più temibili.

In porta giganteggia Andoni Zubizarreta. Davanti Ronald Koeman - centrocampista reinventato centrale - imposta e non disdegna, prolifico come pochi, incursioni verso le retroguardie altrui. In mezzo giostra un giovane Pep Guardiola, mentre il falso nueve Miki Laudrup, affiancato da Stoichkov e Salinas, minaccia di procurare un’indigestione di analgesici a Vierchowod e compagni. Chiaro che Boškov passeggi nervosamente nella hall dell’albergo del centro londinese dove alloggia la squadra. Ora rimbrotta Vialli, sfilandogli una sigaretta dalla bocca. Adesso incita Mancini, Lombardo, Pagliuca e tutti gli altri. Fuori ruggisce il boato di mezza Genova, giunta per accarezzare un sogno. Nel cielo, ma anche nella testa di Vujadin, si addensano però nubi grigiastre.

I presagi del tecnico trovano conferma in campo. La difesa blaugrana gioca ad altezza centrocampo, iniziando a tessere frotte di passaggi microscopici e sfinenti. La Samp agisce solo di rimessa, chiudendo ogni pertugio e, di fatto, rinunciando a giocare a viso aperto per non essere stritolata. Il copione si trascina - non privo di mezza manciata di sussulti - fino ai supplementari. Il catenaccio italico ha smussato la protervia catalana, rendendo la finalissima materiale contendibile. Quelli sono più forti, ma ai rigori le distanze si azzerano.

Il Doria non ci arriverà mai. Un fallo maledetto e contestato infrange i sogni di una città che si era sorpresa provinciale di lusso. Koeman - che anni dopo ammetterà come quel fischio fosse discutibile - si porta sul punto di battuta. Mancini inveisce. Invernizzi ciondola disperato con le mani tra i capelli. Vialli, in panchina, si copre gli occhi con un asciugamano.

Il resto è una sassata scagliata a 120 km orari.

Pagliuca si protende, ma non basta. Il cuore di mezza Genova batte a vuoto per un istante. L’ex addetto stampa scribacchia un’ultima pagella. La tristezza avviluppa le viscere, ma è transitoria. Il voto alla sua Samp si avvicina paurosamente al dieci.

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