Trenta? Ventotto? Ventinove? Lasciamo perdere le baruffe condominiali italiane, comunque è scudetto. Meritato, vinto, sul campo, senza tavolini, della pace o dei giudici. Scudetto a due colori, passati di moda e, imprevedibilmente, tornati sul mercato. Il bianco e il nero sono, in fondo, le sfumature che hanno accompagnato da sempre la storia della Juventus, luce e buio, paradiso e inferno, gioia e vergogna.
Sei anni dopo la maledetta estate, che nessuno potrà mai cancellare, il popolo juventino torna a respirare l'aria pura, esce dalla camera a gas nella quale l'avevano e si era infilata, rialza la testa, per guardare il resto della comitiva con il gusto, e la presunzione, che fanno parte dei suoi segni particolari. Trieste è una stazione di confine dalla quale incomincia un nuovo viaggio. La Juventus imbattuta, un record incredibile che non è riuscito a nessuna altra squadra europea, rappresenta un dato decisivo per comprendere il lavoro e l'apporto di Antonio Conte. Storicamente il club bianconero ha distribuito le percentuali delle sue stagioni, di vittorie e di delusioni, così ripartendole: al primo posto la società, la famiglia Agnelli; quindi, a seguire, le prestazioni della squadra, con i suoi campioni da Sivori, a Platini, a Zidane; infine gli allenatori, compresi i più illustri. Conte ha ribaltato il quadro: è lui la chiave per comprendere la stagione meravigliosa della squadra, è lui ad avere restituito all'ambiente, ai giocatori reduci da due malinconici e squallidi settimi posti, ai tifosi, quasi rassegnati, la voglia di tornare a essere gruppo, squadra, Juventus. Non soltanto con la passione, l'entusiasmo ma con il gioco, la qualità, virtù che nemmeno la grande Juve di Capello, di Lippi, di Ancelotti e di Trapattoni avevano garantito per tutta la stagione, nonostante disponesse di un organico eccellente e del supporto politico e finanziario della famiglia. Questa Juventus è la Juventus di Conte, dunque, è la Juventus ricostruita sulle proprie macerie, morali, tecniche, economiche, rimessa in piedi da un allenatore e dall'orgoglio di un gruppo di giocatori fino all'anno scorso smarriti o liquidati dai propri club. Come Pirlo, come Vucinic, protagonisti assoluti, non certo per la loro corsa, caratteristica che non appartiene loro, ma per la genialità, lo stile, la classe senza le quali una squadra non può essere o diventare grande. Lo scudetto più sofferto non per i punti in classifica ma per l'atmosfera nella quale la Juventus ha dovuto vivere in questi anni. Le vicende del passato sono ferite che non possono essere rimarginate ma sono anche una lezione che serve per il futuro. Dovrebbe servire ai dirigenti della società e qui non mi riferisco ad Andrea Agnelli o a Marotta che sono esecutori, appassionati, dell' azionista titolare: John Elkann. Adesso tocca a lui, se davvero crede in questa squadra, ricevuta in eredità, dovrà investire ricorrendo al portafoglio che è stato utilizzato malamente per cinque anni. La nuova Juventus dovrà essere uguale a quella antica, di suo nonno e di suo zio, un club di tradizione e non di speculazione o di risparmio. Questo ha insegnato Conte, questo ha insegnato anche Alessandro Del Piero con il suo comportamento esemplare, elegante, da campione vero. Pochissimi, anche all'interno della stessa Juventus, potevano immaginare una stagione di questa cifra, un epilogo così esaltante. Il calcio riesce a regalare ancora emozioni di questo spessore.
Qualcuno trascinerà ancora polemiche, gol fantasma, arbitraggi comodi. Ma è il football, amaro e perfido per chi perde e se lo sconfitto ha ancora lo scudetto sul petto allora l'amarezza ha il sapore del cianuro.
Antonio Conte al primo colpo vince lo scudetto, senza aver perso una sola partita.
Che cosa altro poteva chiedere? Ricominciare domani stesso, pensando alla finale di coppa Italia contro il Napoli. Perché la storia del calcio, la storia della Juventus questo è, non altro. Campione e basta. E la notte non finirà mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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