Troppi insulti da un papà, squadra ritirata

«Massacriamoli» e «Spezziamogli le gambe». L'allenatore non ci sta e dice basta

Troppi insulti da un papà, squadra ritirata

Per fortuna ogni tanto succede. Un coraggioso dice basta e ferma il calcio per eccesso di nefandezze. Tra i professionisti difficile, ma accontentiamoci. A Venaus, val Cenischia, collaterale della val di Susa, l'allenatore della squadra Esordienti 2006 di casa, durante la partita con il Lascaris ha richiamato i suoi ragazzini e li ha portati via, stanco, come quasi tutti i presenti, di ascoltare le violenze verbali di un genitore. Il rituale, per chi ha bazzicato un po' questi campetti, è sempre lo stesso. Si comincia con l'arbitro, poi il guardalinee e via così fino ad arrivare al proprio figlio. O viceversa, dal figlio all'arbitro. Il padre in questione si difende sostenendo che «massacriamoli» e «spezziamogli le gambe» si riferivano all'aspetto tecnico, non a quello ortopedico. Ammette di aver insultato il guardalinee (in queste partite la terna arbitrale la mette la squadra di casa), ma aggiunge «durante le gare possono uscire parole sbagliate, ma che riguardano il gioco».

Il primo spunto a margine è proprio questo: ormai, dai pulcini alla serie A, negli stadi regna l'assuefazione. L'unico insulto che viene enfatizzato sui media è quello razziale perché, in questi anni, fa notizia, attizza il dibattito e il moralismo che è in tutti noi. Il fatto che solo il 25/30 per cento del tifo sia di sostegno alla propria squadra e per il resto si dia addosso agli avversari, si dà per scontato. Lo stadio è il nuovo Colosseo, ha scritto qualche scemo, dove trovano sfogo i nostri istinti bestiali. E invece dovrebbe andare diversamente. Più che un'arena di gladiatori, lo stadio è un'arena di ipocriti che urlano «devi morire» ai giocatori dell'altra squadra ma che qualche settimana fa, di fronte alla morte improvvisa e inconcepibile di Davide Astori, erano commossi fino alle lacrime.

Ma c'è un altro spunto che arriva da questa storia di calcio tra ragazzini. L'Italia, fuori dai Mondiali è al suo anno zero. Fabio Capello, allenatore cinico ma non baro, ha detto: «Non allenerò la nazionale, ci vogliono i talenti e non ce ne sono».

Luciano Moggi, che ha fatto qualche telefonata di troppo, ma che di calcio ne capiva, ha sempre sostenuto: «Meno genitori attorno al campo, più campioni sul campo». A Venaus e in tanti paesini come questo forse ci siamo giocati una generazione di fenomeni.

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