Il tuffo dell'Italnuoto tra scaramanzia e parità

Il ct Butini sulla reale forza della squadra. "La verità solo il 5 agosto". A gare finite...

Il tuffo dell'Italnuoto tra scaramanzia e parità
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Dopo che per settimane li abbiamo tutti caricati a pallettoni dicendo che mai una squadra di nuoto italiana era stata così forte, che possono vincere questo e quello, che ricordano la spedizione delle sei medaglie e dei tre ori di Sydney duemila, dopo tutto questo Thomas Ceccon, Alessandro Miressi, Simona Quadarella, Benedetta Pilato e, massì, anche il commissario tecnico Cesare Butini si sono tutti presentati a dita incrociate lungo l'autostrada della Defense Arena. Autostrada perché mai si era vista una zona mista così lunga e a doppia carreggiata, almeno sessanta metri, atleti sfiniti dopo gli allenamenti, alcuni forse anche dispersi. Dita incrociate e domandone per i ragazzi: «Ma quindi vi sentite un dream team?». Thomas Ceccon, bronzo di Riace e primatista mondiale dei 100 dorso con i riccioli ribelli, schiettezza alla Valentino Rossi, liquida la questione con un furbo e neutro «siamo un bel gruppo, sembra quasi una nazionale dei tempi junior...». E molto junior è la scelta scintillante di Nicolò Martinenghi, nostra punta nella rana, a Parigi con i capelli biondo platino, «incrocio ovunque sguardi di gente che ride e scuote la testa...» ma dai? «Però la medaglia di platino non esiste», quanto a ranking e dream team, «è un'olimpiade, sarà tosta, non mi sono ancora veramente testato».

Se Nicolò, doppio argento agli ultimi mondiali di Doha nei 50 e 100 rana ha scelto il biondo platino per esorcizzare pressioni e tensioni, Alessandro Miressi, il nostro uomo della gara regina, i cento metri, si presenta barbuto «ma la toglierò prima della gara». Come Martinenghi è reduce da due argenti ai mondiali, 100 e 4x100 stile a cui ha aggiunto il bronzo nella quattro mista, ma vuole cancellare il sesto posto di Tokyo nella sua gara. «La squadra? Abbiamo grandi aspettative, io le ho. Ma penso anche gli altri ragazzi. Dobbiamo difendere i risultati di Tokyo, l'argento della 4x100 e quanto poi fatto a mondiali ed europei. Se gli Stati Uniti con un Dressel non al top sono abbordabili? Sulla carta non sono battibili, ma ai Giochi può succedere di tutto».

È un uragano Benedetta Pilato. Sprizza gioia ed energia. Arriva mentre si parla di parità di genere, di queste olimpiadi finalmente fifty fifty come numero di atleti, arriva mentre Miressi è alle prese con la questione del peso delle medaglie e il nuoto precursore in tal senso. «Sì è vero, nel nuoto non si è mai percepita questa differenza, l'interesse è lo stesso per uomini e donne...». Ma ecco l'uragano. Benedetta osserva quest'altro bronzo di Riace e lo fulmina e prende in giro: «Lo sapete invece che cosa dice lui quando ci alleniamo? Dice che le gare femminili del nuoto servono solo per far riposare loro...», «no, no, tagliamola questa» sorride Alessandro, chiudendo la gag. Benedetta si fa seria sul tema: «È vero, nel nuoto non ho mai avvertito questa disparità agonistica, semmai noto una differenza fra gli allenatori. Si vedono molte meno allenatrici che allenatori. Benedetta è reduce dal bronzo nei 50 rana ai mondiali, ma soprattutto vuole dimenticare l'esordio olimpico di tre anni fa a Tokyo, quando mancò la qualificazione alla semifinale dei 100 rana e venne anche squalificata per una gambata irregolare.

Dopo l'uragano, il sorriso dolce di Simona Quadarella. Dolce nonostante abbia sulle spalle tutto il peso del mondo: ai mondiali oro nei 1500 e 800 stile. Ma qui c'è sua maestà Katie Ledecky.

«Lei ti toglie subito un gradino del podio, non bisogna pensarci... Gli ori di Doha sono una responsabilità, ma anche uno stimolo». E dunque dream team o no? Tocca a Ct Butini sbilanciarsi: «Siamo cresciuti, ma per dire dream team aspettiamo il 5 agosto».

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