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Wimbledon è già storia: Matteo e un battesimo che unisce tutto il Paese

Contro Djokovic la prima finale nel tempio di Berrettini e dell'Italia. E debutta l'arbitro donna

Wimbledon è già storia: Matteo e un battesimo che unisce tutto il Paese

Trenta finali Slam contro una. E tu sei dalla parte dell'una. La giornata di Matteo Berrettini è questa. Contro Djokovic. La prima volta in finale. A Wimbledon. Il fiato sospeso.

Vigilia: Matteo l'ha preparata a perfezione. Allenamento, pranzo con riso e pesce, relax con Alja. Silenzio, giusto per ascoltare i rumori del momento più importante della sua carriera.

L'altro (momento di cui sopra) fu due anni fa, sempre nello stesso posto: ottavi di finale contro Roger Federer, una stesa memorabile con siparietto finale: «Maestro Roger, quanto devo per la lezione?». Questa volta sarà un'altra cosa, ha giurato: «La prima volta che sono entrato sul Centrale contro di lui non è stato lo stesso. Ma mi sono divertito anche se ho perso, quel ko mi ha aiutato a tornare qui oggi». Cioè venerdì, in semifinale. Oggi è un'altra storia.

C'è Novak Djokovic, quello delle 30 finali. E dei 19 Slam, per ora. Potrebbe essere il 20, come Federer e Nadal, per poi provare il 21 a New York. Quello del Grande Slam.

Come ti senti Matteo? Te lo dice proprio lui: il numero uno del mondo.

«Ricordo la mia prima finale di un Major, era a New York contro Federer. Persi in tre set molto lottati finiti al tie-break. Ricordo che ero troppo eccitato. In fondo sono entrato in campo senza crederci tanto. Ero giovane».

«Avevo 20 anni. Matteo ne ha 25, ha più esperienza nel tour, ha già ottenuto grandi risultati, vittorie contro i top. Negli ultimi 12 mesi è stato uno dei migliori nel circuito. È una situazione diversa, mi aspetto un livello super».

«È davvero difficile giocare contro Berrettini, specialmente sull'erba. Il suo servizio è uno dei migliori del circuito e qui è un'arma letale. Sta tenendo molto basso il numero degli errori non forzati, è molto più paziente. È migliorato, gliel'ho detto l'ultima volta che l'ho battuto. In effetti con lui non ho mai perso».

«Al Roland Garros per me è stato difficile, sono anche stato fortunato nei momenti importanti, però ho tenuto i nervi saldi più di lui. Sono stati quattro set durissimi».

«L'esperienza? Conta, come il lavoro mentale e quello fisico. Più volte sei nella stessa situazione particolare, più questo ti aiuta ad acquisire comfort e fiducia. L'esperienza mi favorisce, conosco la mia forza. Non è una garanzia certo, però almeno puoi contare sulle cose che sai fare».

«Il tifo? Fa la differenza. Lui è sfavorito e alla gente piacciono gli underdog. Per lui sarà un giorno importante, ma davanti a me c'è la Storia. Raggiungerla è il motivo per cui gioco ancora a tennis».

«Come andrà? È difficile strappargli il servizio e trovare ritmo, l'erba lo favorisce. Ma credo nella mia risposta. Se servirò anch'io in maniera efficiente e sfruttare le mie chance, ce la farò. È una finale, sarà una battaglia. Sarò pronto».

Ore 15, campo centrale di Wimbledon.

La prima finale maschile della storia anche per una donna giudice di sedia: Maria Cicak, 43 anni, croata. Aveva già arbitrato la finale 2014, ma era quella femminile. La tradizione rompe le sue regole. Magari anche i pronostici. Silenzio, prego.

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