Imparata la lezione dai confratelli di Hamas (che tengono prigioniero il soldato israeliano Gilad Shalit dal giugno del 2006) i talebani del mullah Omar cominciano a montare il loro bravo battage propagandistico sulla pelle di Bowe Bergdahl, 23 anni, il soldato semplice dell'Idaho da essi catturato il 2 luglio scorso nella provincia di Paktika.
Dall'altra sera gira un filmato diffuso dagli insorti in cui il ragazzo americano fa quel che fanno questi strani soldati americani di ultima generazione quando finiscono nei guai: si lamentano un sacco, vogliono la mamma, sognano la fidanzata e hanno nel cuore la loro patria lontana. Una roba che fa venire il latte alle ginocchia e rischia di infiacchire la già scarsa «vis pugnandi» di un esercito che è capace di fare la faccia feroce solo al cinema.
Nel video, naturalmente, il soldato Bergdahl chiede ai suoi compaesani di fare pressioni sulla Casa Bianca perché ritiri le truppe. Il che, ovviamente, ha suscitato la piccata reazione del comando americano a Kabul e del Pentagono, che definiscono la diffusione del video una violazione del diritto internazionale.
Il filmato dura 28 minuti. All'inizio si fa vedere il soldato che declina le sue generalità, confermate dalla sua placca di riconoscimento mostrata in primo piano. Bowe Bergdahl (il suo nome è stato diffuso solo ieri dal Pentagono) conferma di essere originario dell'Idaho e di avere 23 anni. Poi lo si vede mentre mangia e infine mentre risponde a una serie di domande che gli vengono poste da una voce fuori campo.
Nella registrazione il giovane appare in buona salute. Ha i capelli rasati, la barba di qualche giorno e lo sguardo di chi è spaventato. Veste una tunica grigia, abito tradizionale afghano, ma intorno a lui non si vedono né facce né altri particolari che possano aiutare gli uomini dei servizi a capire dove sia la prigione del detenuto.
«Sono stato catturato - dice il soldato - fuori dalla mia base, mentre ero di pattuglia». Poi si passa alla più pura propaganda. Evidentemente imbeccato, e altrettanto verosimilmente minacciato, lo sventurato Bowe risponde a domande «politicamente corrette» da cui emerge che l'invasione dell'Afghanistan è stata ingiusta e proditoria, che le forze internazionali provocano vittime civili e commettono abusi nei confronti dei prigionieri. Eccone un esempio. A un certo punto il ragazzo dell'Idaho afferma: «I nostri superiori ci dicevano di non preoccuparci se facciamo vittime fra i civili... I nostri comandanti ci hanno detto di trovare informazioni in qualunque modo, non ci sono regole».
Poi si passa all'autodenigrazione. Costretto a dire (ma che ne sa lui? ndr) che le perdite americane sono superiori a quanto ammette il comando Usa, il soldato Bergdahl ammette di essere spaventato, dice di volere tornare a casa, e aggiunge: «Penso alla mia ragazza, che spero di sposare. Penso alla mia bella famiglia, a casa in America, che io amo». Eccetera.
Quando gli viene chiesto se abbia un messaggio da inviare alla sua gente, il prigioniero risponde: «Sì. Ai miei connazionali che hanno qui i loro cari, che sanno quanto gli mancano, dico che hanno il potere di convincere il governo a rimandarli a casa... Per favore, riportateci a casa, così che possiamo stare laddove siamo nati e non qui a perdere il nostro tempo e le nostre vite».
Incollerita ma impotente, come si diceva, la reazione del Pentagono, costretto (dopo che il filmato è finito anche su You Tube) a rivelare l'identità del soldato. «Sfruttano la cattura del soldato, lo umiliano», dice il Pentagono. Dimenticando di aggiungere che la propaganda è un mezzo di pressione assolutamente legittimo, in guerra. E che quando ti tocca, ti tocca.
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