la stanza di Mario CerviIl mito del buon selvaggio è bello. Ma solo nella fantasia

Si fa in fretta a dire Povero, è una condizione, perciò relativa. Domanda: è più povero uno che prende 800 euro di pensione, deve pagare l'affitto di 300 euro le bollette invernali e avanza poco per mangiare? O uno che vive in Africa mangia tutti i giorni, va a dormire nella capanna e non paga un bel niente? Stia attento anche il buon Francesco non è tutto povero quello che fa pena, a volte la povertà può essere dignitosa, ma non per questo meno avvilente.
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Caro Alfieri, i suoi interrogativi si riallacciano a quello, fondamentale, che da sempre inquieta gli umani. La ricchezza e le comodità del progresso rendono felici? Certo che no ma secondo me aiutano. Anni or sono il settimanale Newsweek pubblicò un'inchiesta su questi temi. Essa cominciava con l'intervista a una signora che da modesta impiegatina aveva sposato un miliardario. «Io ho provato -rispondeva la signora- a essere povera e a essere ricca. Ricchi è meglio». Esiste, chi non lo sa, un pensiero che privilegia il buon selvaggio, Jean Jacques Rousseau lo ha propagandato genialmente.

Io mi limito a constatare che centinaia di milioni d'esseri umani aspirano a passare dal paradiso primigenio all'inferno ruggente del capitalismo e della tecnica. Solo pochi romantici -o affetti da mal Africa- intraprendono il cammino inverso. Una ragione ci sarà.

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