Muhammad Sitta ha accoltellato 4 persone a caso a Villa Verucchio la sera del 31 dicembre. È stato neutralizzato dal comandante della stazione locale dei carabinieri, che ha sparato per evitare di essere a sua volta colpito dall'egiziano, che nonostante i colpi di avvertimento e l'intimazione dell'alt non si è fermato. Il maresciallo Masini lo ha colpito quando ormai Sitta si trovava a 80cm da lui, dopo aver arretrato, quando non aveva altre soluzioni per la tutela di sé e della comunità. Ha sparato in tutto 12 colpi, di cui 7 di avvertimento a terra. "Gli amici sono certi che non fosse un terrorista. Non beveva e non si drogava. Era una persona malata", dice oggi Aly Harhash, rappresentante della comunità egiziana di Milano, intervistato da il Resto del Carlino.
Gli inquirenti stanno scavando nel suo passato per capire chi fosse e che contatti avesse prima di arrivare in Italia, irregolarmente, nel 2022. Da quello stesso anno è titolare di un permesso di soggiorno per protezione internazionale, che gli sarebbe scaduto nell'aprile 2026, ed era ospite in un appartamento di proprietà di una cooperativa, condiviso con altre due persone, e seguiva un corso per l'integrazione lavorativa nel nostro Paese. Dalla cooperativa a cui era affidato riceveva un sussidio mensile, mentre conduceva l'assalto aveva in tasca un Corano tascabile e una collana di preghiera musulmana e invocava preghiere all'Islam mentre colpiva. Ma gli amici e Harnash continuano a sostenere la tesi di una malattia mentale che lo avrebbe afflitto.
"I primi segni di squilibrio mentale avevano incominciato a manifestarsi alcuni mesi fa. Muhammad non stava più bene in Italia, voleva tornare a tutti i costi in Egitto. Si comportava in modo strano, qualche volta parlava da solo. Gli amici hanno cercato di aiutarlo, lo hanno accompagnato in ospedale per farlo visitare, ma da quel che sappiamo non ha mai seguito le cure che gli erano state prescritte", dice ancora Harhash, che è in contatto con amici e parenti di Sitta. Tuttavia, non sono ancora emerse evidenze di una sua presa in carico dal Sistema sanitario nazionale. Secondo Harhash sarebbe stato vittima di una rapina: "Gli hanno portato via soldi, documenti e il monopattino che usava per spostarsi. Questa vicenda lo ha segnato molto. Temeva che non sarebbe più potuto tornare in Egitto".
Inoltre, dice, quella sera "si era autoconvinto che se avesse combinato qualche guaio, un reato di qualche tipo, le forze dell’ordine lo avrebbero rispedito in Egitto gratuitamente. È un pensiero assurdo, lo so, ma non dimentichiamo che parliamo di un ragazzo con problemi mentali". Esistono programmi di rimpatrio volontario e Sitta era ospite di una coop che lo aveva in carico, se avesse manifestato questo desiderio gli avrebbero comunicato la possibilità di rientrare in patria gratis. Non è chiaro se abbia mai reso nota questa sua intenzione, che secondo Harhash era talmente forte che avrebbe anche chiesto i soldi a un amico per acquistare della benzina e mettere a fuoco qualcosa.
Questa versione presenta dei buchi, così come la presunta ricostruzione fatta da Harhash: "Forse ha pensato che ferendo qualcuno con il coltello, sarebbe stato fermato e lo avrebbero rimpatriato. Tant’è vero che, dopo aver commesso la prima aggressione, è tornato sul posto anziché fuggire". Se fosse stato così non avrebbe colpito quattro persone e non avrebbe cercato di aggredire un carabiniere. Se il suo obiettivo fosse stato quello di essere arrestato, si sarebbe arreso davanti alle divise.
Ma non l'ha fatto, ha tentato di colpire anche il maresciallo. Per il rappresentante della comunità egiziana di Milano, si sarebbe potuto evitare l'assalto e la sua morte se "solo si fosse prestata la dovuta attenzione ai sintomi mostrati dal ragazzo".
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