Lo Stato ci riduce in miseria

La sola riforma di struttura che non è mai stata proposta sebbene sia la più necessaria è la demolizione dello Stato italiano. Non è più uno Stato, è un aggregato di feudalità che requisiscono e spendono il 60 per cento del prodotto interno lordo; con l'aggiunta del cosiddetto demanio industriale (ferrovie, poste, Enel, ecc.) si arriva al 75 per cento. E questo saccheggio di risorse non è al servizio di alcun grande disegno. Mira soltanto, e disordinatamente, a incrementare la socialità e consolidare le fortune politiche di coloro i quali la caldeggiano. A un Paese in cui tutti simulano di essere poveri per partecipare della pubblica carità, il Potere sta apprestando l'economia della miseria che si merita. (... ) Che conta? La regola è di vivere alla giornata. In questo sistema caotico ogni elemento si pone come «variabile indipendente». I governi e il Parlamento assumono decisioni senza valutarne gli effetti finanziari (...) la politica distrugge capitale invece di contribuire a formarne.

Lo Stato italiano non è niente, fuorché uno smisurato apparato assistenziale volto a proteggere poveri, falsi poveri, oziosi e parassiti, invalidi che sono validissimi ma godono della protezione giudiziaria dei patronati sindacali finanziati, a loro volta, a carico della previdenza, cioè della imprese e dello Stato. Si è già risposto in principio alla domanda di Mediobanca: l'Italia s'incammina verso un'economia di tipo bellico, un'economia di razionamento e di miseria.
Cesare Zappulli - 14 giugno 1978

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