La storia dimenticata di quanti dissero «no»

«Quelli che dissero no», il libro più recente dello storico e giornalista Arrigo Petacco, edito da Mondadori, suscita l’intensa partecipazione di chi ha ancora storie e ricordi - per lo più indiretti, certo - legati a quell'8 Settembre che divise un'Italia ormai stremata dalla guerra, dalle ingiustizie, e dagli stenti. Non ci sono parti o schieramenti nel libro di Petacco, presentato al Circolo Unificato dell’Esercito con l’intervento di Luca Borzani, Massimiliano Lussana e Gianni Plinio: la sua è una storia, una storia vera e dimenticata, quella dei militari italiani fatti prigionieri che decisero di non collaborare con gli alleati, che vollero continuare ad essere considerati come prigionieri di guerra. Una storiografia approssimativa e facilona li ha bollati come fascisti, dimenticando gli esseri umani che vivevano e subivano quella scelta, tralasciando le motivazioni che ciascuno considerava e soppesava.
Erano molti i ragazzi di 23, 24, 25 anni, che si trovavano soli, e che degli anni più belli solo ricordavano la lotta, la guerra: alcuni sceglievano la coerenza, dettata dall'idea che non si poteva cooperare con chi era stato il nemico fino a poche ore prima; per molti era la stanchezza di una guerra che aveva perso di significato. O ancora l'incertezza di non sapere cosa stesse accadendo a casa. Una prigionia fatta di stenti, e di torture: «Erano ragazzi che si trovavano in condizioni terribili, trattati malissimo dagli inglesi, per non parlare dei francesi. Un po' meglio erano i campi di prigionia americani - ricorda Arrigo Petacco - Erano lontani migliaia di chilometri da casa: l'ideologia comunista nel dopoguerra ha cercato di mettere a tacere questa parte di storia, così come ha fatto per i prigionieri italiani deportati in Germania, che non aderirono alla Repubblica di Salò.

Alessandro Natta, comunista, potè pubblicare il suo libro "L'altra resistenza" solo nel 1991, giacché il Pci non ritenne di doverlo pubblicare». Il saggio di Petacco restituisce in parte la dignità di una memoria negata, quella dei prigionieri di guerra italiani, senza cadere nella banalità delle definizioni e dei luoghi comuni.

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