!["La storia della Duse attraverso le voci e gli occhi degli altri"](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/05/1738742778-ajax-request.jpg?_=1738742778)
Inventarsi detective sulle tracce di una leggenda. È stata questa la missione artistica di Sonia Bergamasco, una delle attrici più talentuose e riconosciute del cinema e del teatro italiano, per delineare (o forse ri-delineare) i contorni sempre più sfumati di chi, da leggenda per l'appunto, ha lasciato dietro di sé ben poco di materiale e altresì molto di impalpabile.
Sonia Bergamasco racconta Eleonora Duse, la «Divina» di cui non esistono video, nemmeno frammenti delle esibizioni teatrali, né registrazioni audio della voce. Tra i filmati, resistono poche riprese dell'unico film cui l'attrice partecipò, nel 1916: «Cenere» di Fabio Mari, tratto dal romanzo di Grazia Deledda che la Duse stessa decise di portare sul set. In questi giorni a Milano la Bergamasco porta uno spettacolo e un documentario: il primo è «La Duse e noi», in scena al Teatro Gerolamo dal 7 al 9 febbraio, il secondo è «Duse, The Greatest» che l'attrice milanese presenterà al Cinema Palestrina sempre il 7 febbraio (ore 21,15).
Da dove nasce questa sua passione per la Duse?
«Da una foto che ho avuto sotto gli occhi per molto tempo, anni fa: al Piccolo Teatro, dove studiavo recitazione, lo sguardo della Duse mi guardava da un ritratto appeso sul percorso per andare agli spogliatoi della scuola. Era una presenza costante, magnetica».
Com'è possibile per noi afferrare appieno la sua grandezza?
«Attraverso le parole di chi l'ha incontrata e ha goduto del suo talento. Lei crebbe figlia d'arte in un gruppo di attori girovaghi, a soli 4 anni andò in scena. Da donna dimostrò la sua forte volontà, il suo spirito rivoluzionario, il suo modo di recitare assolutamente naturale. Tanto da impressionare contemporanei come Chaplin che disse senza mezzi termini, è la più grande artista che ho mai visto. O come letterati del nome di Cechov e Gabriele D'Annunzio, o Arrigo Boito che con lei, come D'Annunzio, ebbe una relazione. Duse fu influente per maestri come Stanislavskij e Strasberg, il fondatore dell'Actor's Studio. Sono le parole di questi personaggi a definire la divina nello spettacolo che porto al Gerolamo».
A quale materiale attinge per questo spettacolo?
«A quello ricchissimo dell'Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. Ho costruito una lettura scenica con Marianna Zanoni, autrice del libro Illustre Signora Duse, che raccoglie molte voci da quell'archivio, voci di chi la vide in scena e la conobbe. Il proposito è quello di raccontare Duse attraverso gli occhi degli altri».
Un materiale che vive anche nel suo documentario?
«Qui a vivere è molto di più, la stessa voce della Duse, attraverso le sue moltissime lettere. Nel film, realizzato a cento anni dalla morte della Duse, emerge la sua scrittura, che è affascinante: è già teatro, è parlante».
La Duse al cinema: sarebbe sempre stata grande?
«Non esistono molti documenti, ma da quel poco che abbiamo della pellicola Cenere, un film muto, si intuisce la sua straordinaria modernità espressiva e di come si posizionava rispetto alla macchina da presa. Anche la sua scelta fu originale: disse no al mitico regista Usa D.W. Griffith per poi fare un film italiano. Di cui fu co-autrice».
Dopo l'omaggio a Eleonora Duse, quali sono i suoi progetti?
«Il 6 marzo esce nelle sale Il nibbio di Alessandro Tonda, incentrato sul caso della morte di Nicola Calipari in Irak.
Io interpreto la giornalista, da lui salvata dal sequestro, Giuliana Sgrena. La realizzazione del film è stata seguita dallo sguardo di Rosa Calipari, la vedova dell'agente. Ruolo per cui ho sentito grande responsabilità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.