Novembre 1940, Oceano Indiano. Una nave corsara nazista avvista a proravia una sagoma in navigazione, circa duecento miglia a nord-ovest dell’isola di Sumatra. Potrebbe trattarsi di un preda bellica come tante altre, come una delle tante catturare e affondate dall’esperto comandate della Kriegsmarine Bernhard Rogge, predatore camaleontico che si aggira per i sette mari al comando di un mercantile di 155 metri armato come nave corsara, classificato come Schiff 16, e ribattezzato Atlantis, come il leggendario continente perduto.
Identificata come nave britannica, la preda viene ingaggiata secondo le consuete procedure della guerra di corsa: avvicinata con l’inganno per intimare la resa con la minaccia di adoperare i cannoni ben camuffati sul ponte. La prima bordata di avvertimento viene sparata dall’Atlantis che può contare su ben 6 cannoni da 150mm, oltre all’artiglieria contraerea e un singolo pezzo da 75.
A bordo nella nave britannica è il caos, cercando di forzare il blocco opposto dall’Atlantis un inteso cannoneggiamento proveniente dalla nave corsara martella il ponte di comando, e tra morti e feriti, quindici plichi di posta destinati al British Far East Command e classificati come top secret rimangono incustoditi fino all’arrembaggio dei marinai tedeschi armati di pistole mitragliatrici Mp-40; contengono informazioni della massima importanza strategica. Ma facciamo un passo indietro, all’inizio dell’epopea corsara dell’Atlantis.
Nave corsara agli ordini di Dönitz, per volere di Hitler
Mercantile della compagnia Hansa Goldenfels varato nel ’37 , con una stazza poco inferiore alle ottomila tonnellate, l’Atlantis non era molto diversa da tante altre navi che percorrevano avanti e indietro le principali rotte marittime che collegavano commerci e interessi nel mondo.
Adeguata per aumentare le capacità delle sue riserve di carburante, per accogliere, lanciare e recuperare due idrovolanti Arado Ar-196 (in origine Heinkel He-114), quattro tubi lanciasiluri, trasmettitori radio, un telemetro nascosto nel serbatoio dell’acqua, cannoni navali e mine navali elettriche del tipo C, che avrebbe inizialmente posato a largo di Capo Agulhas, dove l’Oceano Atlantico Meridionale e quello Indiano s’incontrano, prese il mare nel secondo anno della guerra scatenato dalla Germania Nazista. Cinque minuti prima della mezzanotte di un venerdì 13, per ragioni dovute alla nota scaramanzia degli uomini di mare.
Atlantis “camaleonte” dell’Oceano Indiano
Agli ordini dell’astuto capitano Rogge, l'Atlantis venne puntualmente dipinta e ridipinta per camuffarsi da nave mercantile di potenze neutrali o alleate dopo aver attentamente studiato il registro delle spedizioni internazionali della compagnia di assicurazioni Lloyd, individuando profili, stazza, peculiarità come fumaioli e poppa per essere “più che confondibile” ad ogni avvistamento, e fino a poco prima dell’abbordaggio di una qualsiasi preda che avrebbe cercato di lanciare immediatamente il segnale radio in codice "Qqq" - ossia l'assalto di una nave corsara - mentre l'Atlantis abbandonava le bandiere di comodo per issare le insegne da battaglia tedesche.
Era infatti abitudine dell’equipaggio armarsi di pennelli e tavole sospese per ridipingere da cima a fondo lo scafo e ogni parte lo richiedesse, prima di issare bandiere di Norvegia, Olanda, Russia e perfino Giappone. Per spaventare navi sospettose nei momenti più “delicati”, sventolava la bandiera gialla di quarantena, che significata lo stato di quarantena a bordo. Dopo aver razziato e preso il controllo di unità minori, arriverà per fino a fingere d’essere ella stessa una nave “catturata” e scortata verso il porto per superare i controlli della marina britannica e procedere con l’arrembaggio.
La sua lunga missione iniziò fingendosi la giapponese Kasii Maru della Kokusai Company: una nave da carico passeggeri gialla e nera con un grande K bianco sul fumaiolo rosso. Fa sorridere il pensiero che l’equipaggio della Kriegsmarine indossò addirittura dei kimono per ingannare le vedette della britannica Hms Exter.
Spie da Singapore
Quando l’Atlantis incontrò la sfortunata rotta di una solitaria nave inglese a largo di Sumatra, l’11 di novembre 1940, nessuno poteva immaginare che a bordo avrebbero trovato documenti segreti come tabelle di decodificazione dei messaggi in cifra usati dai mercantili inglesi, report dell'intelligence della Royal Navy, ordini da impartire alla flotta dell’Estremo Oriente e vari informazioni sull’artiglieria; ma sopratutto una piccola borsa marcata con la dicitura “Altamente confidenziale” che conteneva un report dettagliato del Comandante in Capo dell'Estremo Oriente, il maresciallo dell’aria e Sir Robert Brooke-Popham: esso riportava, oltre ai dettagli delle difese navali e aeree britanniche che doveva proteggere la “fortezza” di Singapore, lo stato delle capacità militari marine e terrestri inglesi nell'Estremo oriente, delineando la debolezza del Regno Unito in quel teatro della Malesia, e concludendo che l’entrata in guerra contro l’Impero Giapponese avrebbe rappresentato un enorme rischio.
Di norma tali documenti sarebbe stati distrutti o gettati fuori bordo se solo la nave fosse stata prossima al rischio di cattura, ma appare ovvio come i messaggeri, rimasti uccisi o gravemente feriti, non siano stati capaci di adempiere il loro dovere. Il lauto bottino fu impiegato sia dagli alti papaveri di Berlino, che dagli agenti d’intelligence giapponese, i quali ricevettero attraverso attraverso l'attaché navale presso l’ambasciata tedesca di Tokyo per informazioni più rilevanti. Per tale ragione, dopo la conclusione della battaglia della Malesia e la caduta di Singapore, i giapponesi regalarono al capitano Rogge una spada da samurai ornata di diamanti, rendendolo uno dei tre tedeschi - gli altri due erano niente di meno che Hermann Göring ed Erwin Rommel.
Si crede infatti che le informazioni top-secret trafugate sull’Automedon abbiano condizionato l’ammiraglio Yamamoto nella pianificazione dell'attacco a sorpresa di Pearl Harbor, e nelle manovre che portarono alla caduta di Singapore.
L’epilogo e la salvezza firmata Fecia di Cossato
“Dopo aver portato a termine con successo la sua missione e aver percorso 102.000 miglia in 622 giorni in mare, Atlantis fu localizzata e distrutta mentre era sul punto di tornare a casa e mentre era impegnata in un'operazione di rifornimento che non era inclusa nei suoi ordini operativi…. La nostra amarezza per la perdita della nostra nave è stata intensificata dal pensiero che avremmo dovuto abbandonarla senza combattere”. Scrive di suo pugno in data 22 novembre del 1942 il comandante dell’Atlantis nel diario di bordo.
Sorpreso mentre era intento a rifornire di carburante un u-boot nel settore “battuto” dalle navi da guerre britanniche che iniziavano a "riconoscere" e pattugliare i punti di rendez-vous dove potevano incontrarsi le navi d'altomare naziste, l’Atlantis venne ingaggiato dall’Hms Devonshire, incrociatore pesante britannico. Questo nonostante continuasse a spacciarsi alla radio per l’Ss Polyphemus, mercantile olandese. Il comandante della Devonshiere aveva mangiato foglia e ordinato di fare fuoco sulla nave corsara mentre l’equipaggio dell’Atlantis minava la nave e si apprestava ad abbandonarla con una certa premura.
Mentre la nave colava sul fondo dell'Oceano, come l'Atlantide sommersa, trecentocinquanta tra ufficiali e marinai si trovarono abbandonati a se stessi, in balia delle onde su poche scialuppe di salvataggio e senza possibilità d'essere tratti in salvo: dal momento che la presenza di un sottomarino nemico nell’area non garantiva incolumità all’attaccante britannico, che doveva fare rotta a zig-zag verso acque sicure. Va annotato che l’incrociatore Hms Dorsetshire, compagno di battaglia e pattugliamento del Devonshire, aveva già affondato la nave corsara gemella dell'Atlantis, il Pinguin.
I naufraghi alla deriva verranno recuperati al largo delle isole di Capo Verde da una spedizione congiunta di u-boot tedeschi e sommergibili della Regia Marina italiana che comprendeva l’Enrico Tozzoli comandato da Carlo Fecia di Cossato, il Luigi Torelli comandato da De Giacomo, il Pietro Calvi agli ordini del comandante Olivieri, e il Giuseppe Finzi, del comandante Giudice. Dopo aver circumnavigato il globo in un viaggio di 110.000 miglia nautiche - di cui 1.000 su scialuppe di salvataggio 5.000 miglia nelle profondità marine a bordo del sommergibile che lo aveva tratto in salvo - il capitano Bernhard Rogge faceva ritorno a casa.
Sopravvissuto alla guerra con il grado di ammiraglio, nel 1957 verrà richiamato a formare la nuova Marina tedesca inquadrata nella nuova Alleanza Atlantica. Al pari di Atlantide, rimane una leggenda che ognuno dovrebbe conoscere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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