"E vediamo di finire bene". Giuseppe Galliano, il primo eroe italiano d'Africa

Primo comandante italiano a farsi gloria alla testa degli Ascari, cadde ad Adua con l'onore delle armi. Fu anche il primo a conquistare due medaglie d'oro al valor militare tra il 1894 e il 1896

"E vediamo di finire bene". Giuseppe Galliano, il primo eroe italiano d'Africa

Militare cuneese partito dal cuore profondo dello Stato sabaudo, di cui i progenitori erano stati sempre fedeli servitori, per trovare gloria e morte nelle remote lande d'Abissinia, Giuseppe Galliano è il primo, tragico eroe dell'epopea italiana in Africa.

Galliano, l'eroe dimenticato d'Africa

Galliano fu l'ufficiale più attento di un esercito coloniale intento a perseguire una - fatua - ricerca di potenza nell'acrocoro dell'attuale Etiopia, ma scevro da pregiudizi razzisti o di superiorità, tanto da comandare i battaglioni indigeni dei primi ascari. Fu il fedele servitore di due Re - Vittorio Emanuele II e Umberto I - in nome della cui politica e visione dichiarava sempre di agire. Affrontò come nemico leale ma in maniera ferma le armate abissine di Re Menelik durante il tentativo infruttuoso dell'Italia di imporre il protettorato su Addis Abeba e i suoi domini tra il 1894 e il 1896.

Domenico Quirico in Squadrone Bianco, saggio dedicato alla storia delle truppe coloniali italiane, ricorda Galliano come membro del "fiore di una generazione di ufficiali coloniali che tiene in pugno magnificamente le proprie truppe" dopo averle "forgiate, allenate, provate in battaglia". L'ufficiale nato a Vicoforte, vicino Cuneo, nel 1846 e cresciuto nel vicino abitato di Mombarcaro prima di intraprendere la carriera militare, giovanissimo veterano della Terza Guerra d'Indipendenza, dal 1873 al 1883 membro del neocostituito corpo degli Alpini e dal 1890 ufficiale coloniale, affidava il suo ascendente a varie qualità: "la gentilezza, la bonomia, non priva di guizzi di sarcasmo a volte feroce".

La vittoria contro i dervisci

Galliano plasmò la fiducia dei suoi ascari del Regio corpo truppe coloniali d'Eritrea nel 1893, prima della campagna italiana d'Abissinia, quando a Agordat, 160 km a ovest di Asmara, fermò una violenta incursione dei Dervisci sudanesi impegnati nella guerra mahdista che li vedeva opposti al Regno Unito. 2.400 ascari ed italiani comandati dal colonnello Giuseppe Arimondi fermarono 10mila dervisci sudanesi grazie al ruolo decisivo dei battaglioni di Galliano, che messo sotto pressione dalla carica montante dei sudanesi ordinò un ripiegamento prima e una durissima controffensiva alla baionetta poi che aiutò gli italiani e i coloniali ad avere ragione dei nemici.

Fu "la prima decisiva vittoria fino ad allora vinta dagli europei contro i rivoluzionari del Sudan", come ebbe modo di commentare lo storico britannico e studioso del colonialismo italiano Glen St John Barclay. Galliano fu premiato per l'azione da lui guidata con la prima Medaglia d'Oro al Valor Militare della sua carriera, all'età di 48 anni, e con la promozione a maggiore.

Per il successivo impegno in Abissinia, Galliano inizialmente non seguì fino in fondo l'ottimismo del generale Oreste Baratieri che pensava di poter aver rapidamente ragione delle forze di Menelik e imporre il dominio italiano sull'attuale Etiopia. L'Abissinia era uno Stato sovrano, in via di lenta modernizzazione, i cui militari conoscevano in parte l'uso delle armi occidentali e soprattutto forte di una enorme superiorità numerica.

La difesa di Macallè

Galliano e i suoi ascari dovettero spesso ritrovarsi impegnati in combattimenti di retroguardia, mossi dalla necessità di conquistare o difendere sorgenti d'acqua o linee di rifornimento sicure. "Sono obbligato a fare un po' di tutto, anche il diplomatico", annotava nel 1895 parlando della necessità di non disunire le sue truppe di fronte alle difficoltà della guerra e a non esporre eccessivamente gli ascari rispetto alle truppe nazionali. Galliano era reduce di una nuova medaglia, d'argento questa volta, per la salda difesa di Coatit tra il 13 e il 14 gennaio 1895 di fronte alle armate tigrine di Ras Mangascià.

Tra fine 1895 e 1896 l'epopea militare di Galliano si consumò, infine, nei due episodi decisivi di Macallè e Adua. La prima località, di confine tra Abissinia e Eritrea, era sede di un forte che nell'autunno 1895 fu assediato per due mesi dalle forze di Menelik, desiderose di cacciare gli italiani invasori. Galliano, comandante della difesa a oltranza nelle retrovie italiane, si trovò per la prima volta responsabile di una battaglia a Macallè, che cedette dopo due mesi di resistenza in un "derby" tra truppe africane.

Le unità guidate da Galliano nella resistenza sono entrate nella storia delle campagne coloniali italiane: il III e il V Battaglione indigeni al completo, la 2ª Compagnia dell'VIII Battaglione indigeni, una batteria artiglieria da montagna indigeni della 7° brigata delle truppe coloniali si aggiungevano a due sezioni del genio e due reparti di Carabinieri italiani. 1.350 uomini contro 100mila assedianti subirono solo 30 perdite in due mesi, operando attacchi mordi e fuggi, con incursioni spericolate di ascari e artiglierie. Menelik e Ras Mekonnen ottennero di negoziare l'uscita ordinata degli italiani.

La fine fatale a Adua

Per Galliano l'aver portato in salvo il grosso delle sue truppe valse una seconda Medaglia d'Argento e la promozione a Tenente Colonnello. Ruolo con cui andò incontro al redde rationem decisivo di Adua. Nella tragedia della battaglia imposta dalle pressioni del Presidente del Consiglio Francesco Crispi, che definì la crisi abissina non una guerra ma una "tisi militare" l'1 marzo 1896 le truppe italiane andarono incontro alla disfatta contro Menelik e i suoi. Il Terzo Indigeni, così era nominato il raggruppamento di Galliano, era provato dalla battaglia ma esperto. Di fronte alle cariche abissine, forti di 100mila soldati di cui 80mila con armi da fuoco e di 42 pezzi d'artiglieria, in campo aperto i 17mila italiani furono messi in crisi. Galliano si trovò a difendere l'altura strategica del Monte Rajo fianco a fianco con Arimondi, il vincitore di Agrodat. E assieme ad esso cadde in una turma confusa, dopo una battaglia dettata dalla politica e non dalla ratio militare che fermò per quarant'anni le ambizioni italiane in Africa Orientale.

Di Galliano si ricordano le ultime parole: "Signori, si dispongano con la loro gente e vediamo di finire bene". Agiografiche o meno che siano, la confusione di Adua fu tale che non è noto né il contesto né il modo con cui il militare cuneese, soldato per vocazione, cadde.

Fu una scheggia d'artiglieria? Fu la sopraffazione delle truppe che portò il Terzo Indigeni a scomparire nella battaglia? Fu una vendetta postuma degli abissini per il loro "persecutore" numero uno. Difficile saperlo. Fatto sta che quel fatale 1 marzo 1896 cadde Galliano, primo eroe italiano d'Africa, l'anticipatore del Comandante Diavolo Amedeo Guillet nel rapporto tra coloniali e ufficiali nazionali nella storia delle bande armate degli ascari. Un militare contrario a ogni pregiudizio, dedito solo al suo mestiere. Da compiere con fermezza, disciplina e, nonostante la brutalità della guerra, rispetto per il nemico.

Una Medaglia d'Oro postuma portò Galliano ad essere il primo ufficiale decorato con due

delle massime onorificenze della storia del Regio Esercito e a quattro le decorazioni complessive. Onori che bastano solo in parte a riassumere la vita di un soldato tutto d'un pezzo che si conquistò vera gloria sul campo.

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