I primi italiani di Russia: la Legione Redenta in Siberia

Da prigionieri austro-ungarici in Russia a combattenti italiani in Siberia: la storia dimenticata della Legione Redenta della Grande Guerra e del maggiore Cosma Manera

La Legione a Vladivostok
La Legione a Vladivostok

Un punto nell'immensa distesa della Cina, la concessione di Tientsin. Una guerra in via di conclusione, il primo conflitto mondiale. Un impero defunto, l'Austria-Ungheria. Una potenza vincitrice pronta a completare l'unità nazionale, l'Italia. L'erede di un altro impero, la Russia, prossimo a cadere in preda alla guerra civile. Un coraggioso maggiore dei Carabinieri Reali, Cosma Manera.

L'anno è il 1918 e il contesto è quello del conflitto civile tra russi bolscevichi e rivoluzionari liberali. In questo teatro andò in scena l'epopea dimenticata della Legione Redenta italiana, costituita dalla concessione italiana della città di Tientsin, occupata a inizio Novecento dopo la Rivolta dei Boxer e formata da ex prigionieri di guerra trentini, friulani e giuliani catturati in Russia e in Est Europa mentre combattevano per le armate imperial-regie.

In nome della concessione italiana in Cina, dal 1916 Manera era impegnato a far uscire dalle prigioni di guerra russe i militari catturati nelle file austro-ungariche desiderose di ripresentarsi nel conflitto come sudditi di Roma. L'opera della missione fu così attiva e concreta da consentire che il 24 settembre 1916 un primo contingente di prigionieri del campo di Kirsanoff (33 ufficiali e 1665 uomini di truppa) ebbe l'occasione di imbarcarsi ad Arcangelo diretto verso l'Inghilterra. Annotò sull'argomento il tenente colonnello austriaco, irredento italiano, Emesto De Varda, alla vigilia della partenza: "Siamo entrati in Russia come prigionieri austriaci ed ora abbandoniamo questa terra come cittadini italiani". La destinazione, dopo un lungo periplo, era la Cina. Gradualmente fu costruita un'unità di diecimila uomini che trovò il suo battesimo del fuoco nel pieno dell'intervento dell'Intesa nella Guerra civile russa.

Dopo un lungo periodo di addestramento in Cina, ricorda Storia Politica Informazione, il 1918 portò al fronte quella che oramai era la Legione Redenta di Manera, desideroso di mantenere in operatività gli uomini ancora abili alle armi tra quelli sottratti alla prigionia russa. Dopo aver contribuito a far uscire un manipolo di prigionieri via Siberia fino a Tientsin, ricorda The Vision, a metà 1917 "Manera comunica che gli irredenti sono stati trasformati in esercito: un battaglione multiculturale di austriaci, croati, trentini, veneti e serbi chiamato Legione Redenta di Siberia, ufficialmente al servizio dell’Italia, ma in realtà disposto a dare la vita solo per quell’ufficiale che ormai chiamano papà". Dopo il trattato di Brest-Litovsk (luglio 1918), Manera partecipò allo sbarco interalleato nella penisola di Kola, pianificato per impedire ai tedeschi di impadronirsi del materiale bellico abbandonato dopo la rivoluzione comunista, un blitz ad alta pericolosità in cui ebbe un ruolo anche un contingente di militari "redenti".

In seguito, in un caso emblematico di promuoveatur ut amoveatur, Manera passò il comando al colonnello Gustavo Fassini-Camossi, comandante del Corpo di spedizione in Estremo Oriente partito da Napoli a luglio e "tra il 13 ed il 21 ottobre, i soldati italiani e la Legione Redenta - i cosiddetti Battaglioni Neri - partirono per Harbin, capitale della Manciuria e snodo cruciale della Transiberiana".

Muovendosi tra Omsk, Krasnojarsk e Irkutsk e arrivando fino alla città manciuriana di Harbin, per un anno e mezzo i militari italiani avrebbero contribuito alla scoordinata ma complessa operazione di messa sotto pressione dei bolscevichi, avendo il campo base nella città di Vladivostok dove 1.400 uomini soggiornavano stabilmente a fianco di 70mila giapponesi e 5mila americani, con a fianco un migliaio tra britannici e francesi, per "mostrare bandiera" nell'unica operazione congiunta dell'Intesa al gran completo condotta alla fine della Grande Guerra.

La missione della Legione era, essenzialmente, mantenere attive le comunicazioni sulla Ferrovia Transiberiana al fine di permettere ai rifornimenti di affluire apertamente ai "bianchi" antibolscevichi. Dalmati, fiumani, cittadini di Spalato e di Ragusa combattevano fianco a fianco con contadini trentini dall'italiano stentato, ladini e abitanti delle montagne dell'Adamello e del Lago di Garda, riscoprendosi figli di uno stesso Paese di cui erano diventati servitori prima di poter godere dei pieni diritti dei cittadini. Una storia di coraggio a lungo dimenticata: l'epopea della Legione Redenta si trascinò fino all'inizio del 1920 tra combattimenti sporadici, incursioni bolsceviche e una lotta durissima contro il freddo della Siberia e si concluse con la ritirata dalle posizioni su Vladivostok e dintorni a seguito dell'insostenibilità dei costi dell'operazione e del fallimento generale della strategia anti-bolscevica. "

"Si può affermare con piena sicurezza che oggi sotto ogni punto di vista, la Legione redenti è la più bella unità militare del luogo" dichiarò dalla città dell'Estremo Oriente l'uomo chiamato da Tokyo, ove era addetto militare, per organizzare il rimpatrio dei "maledetti" d'Oriente chiamati a allungare la propria guerra per plasmarsi come italiani: ça va sans dire, il maggiore Cosma Manera. "Le autorità militari non hanno parole per elogiarne le qualità militari, mentre i cittadini sono entusiasti del contegno dei suoi uomini, educato e corretto".

La missione più remota, oscura e strategicamente ininfluente della storia militare del Regio Esercito finì per essere una delle più alte avventure umane che lo riguardarono: la storia di una Legione Redenta di nuovi cittadini italiani che seppero prendere parte alla storia del Paese ottenendo per meriti di servizio di diventare cittadini di una nazione libera dopo esser stati sudditi di un impero morente.

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