Pierre Clostermann: fiamme nel cielo sotto la croce di Lorena

Clostermann, asso da caccia arruolato tra i "francesi liberi", fu uno dei testimoni più audaci e affascinanti della guerra aerea che incendiò i cieli europei nel Secondo conflitto mondiale. Le sue memorie, per importanza e stile, rimangono ineguagliate

Pierre Clostermann: fiamme nel cielo sotto la croce di Lorena

Teso d’emozione, un giovanotto bruno e di bell’aspetto, indossa per la prima volta, dopo tanto, tanto tempo, la divisa del suo paese in guerra. È un perfetto damerino, in quel blazer blu notte, con i pantaloni anch’essi blu, e le ali da pilota appuntante sul petto.. i bottoni scintillanti e tutto il resto. È appena l’alba in Inghilterra – quel Paese che ha morso e sorpreso la sconfitta proprio per aria; che ha combattuto fino a stravolgere le sorti di una guerra che pareva già parduta. Diceva Churchill al preludio di quel tentato salvataggio: “Remember gentlemen, it’s not just France we are fighting for, it’s Champagne!”. Tutti ridevano; tutti sapevano che in fondo, non era affatto così. Molti del BEF non tornarono quella volta come la prima, ma senza salvare la Francia. La guerra sarebbe durata oltre, eccome.

Pierre Clostermann usciva così dalla sua baracca umida e vuota mentre la luce timida dell’alba si affacciava sulla terra. I fili d’erba della pista di volo erano zuppi di brina. I brividi corrono lungo la sua schiena, e non sono quelli portati dal freddo delle ore più silenziose, né quelli della paura che precede l’ennesima missione: sono quelli dell’emozione. Tra qualche ora, sorvolate in cielo le onde grigie della Manica, se la caccia nemica non sarà abbastanza brava, e se il fuoco di sbarramento della contraerea sarà gentile; se l’atterraggio andrà come deve andare e tutto il resto pure, Pierre rimetterà piede sulla sua terra, sulla sua patria.

Il giovane Pierre non calpesta il suolo di Francia da tre anni. Ha risposto all’appello del generale De Gaulle, e ormai vola nella Royal Air Force, per conto di quella che venne nominata la ‘"France libre" dal '42. È diventato uno degli assi da caccia alleati più famosi di tutto il conflitto, il leggendario Pierre, sul suo ‘Grand Cherles’, che porterà più di venti piccole croci patenti bianche e nere sulla fusoliera: ognuna sta a indicare una vittoria sui caccia nemici. Venti abbatimenti, venti palle di fuoco spedite dalle nuvole alla terra in una manovra da togliere il fiato, mentre il sangue sfugge al cervello e le mitragliatrici sputano fuoco dalle ali: è quello il grande circo che si consuma in aria. Formalmente è un pilota delle Forces Aériennes Françaises libres, ma il suo caccia è un Supermarine Spitfire inglese. Sulle ali porterà le strisce bianche e nere come tutti gli aerei che presero parte all’Invasione della Normandia. In più, una croce di Lorena sotto l’abitacolo: la risposta della forza e della perseveranza che la Francia "Libera" adottò contro la Svastica che aveva piegato Vichy.

Così lo Spitfire con il simbolo del leone del City of Glasgow era pronto. Clostermann aveva con se una valigia minuscola, con i suoi pochi effetti personali, e sotto al culo, infilato nel paracadute che poteva salvargli la vita, un quaderno dove ogni notte annotava le sue impressioni sul "Grande circo" che ogni volta che andava in scena quando si incontrano aerei nemici. Una giostra che prende vita e accende "Fiamme nel cielo". Alcuni dei suoi compagni di squadriglia vestono divise color kaki, le stesse adottate dalla 2° Tactical Air Force che sono in uso nell’esercito - nel caso vengano abbattuti - per farsi riconoscere immediatamente. Ma Pierre non ha a cuore quel genere di rischio. Anzi, ha un solo desiderio: che i francesi che lo vedessero, sia mai ne incontrasse qualcuno, possano gridargli a un primo sguardo, nella sua lingua madre, "Vive la France!". Non vedeva l’ora. Era il 2 di luglio del 1944.

Addestrato del 1942, dopo essere scappato dalla Francia, prima in America, poi alla volta dell’Inghilterra, come tutti i piloti francesi viene assegnato al 341º Gruppo Caccia “Alsazia“, di stanza a Turhouse, a sud di Londra. Poi al 602º gruppo “City of Glasgow“, il gruppo misto, dove confluivano piloti da caccia di tutte le nazionalità che sugli Spitfire V – il suo è siglato LO D- davano filo da torcere ai caccia tedeschi che attaccavano gli stormi da bombardamento alleati. Nel gennaio del ’44, Clostermann e Remlinger, il suo gregario e sodale, vengono inviati alle Orcadi per proteggere la flotta britannica ormeggiata al largo di Scapa Flow. Qualcosa bolliva in pentola.

"È difficile poter dare una impressione d’insieme dello sbarco così come lo abbiamo visto noi, a volo d’uccello. La Manica è ingombra d’un guazzabuglio di navi da guerra, di mercantili d’ogni tonnellaggio, petroliere, trasporti carri armati, dragamine, tutti col loro pallone d’argento di sbarramento assicurato a un cavo. Incrociamo una mezza dozzina di rimorchiatori che s’affannano (…) Il tempo non è molto bello. La Manica è solcata da onde corte e nervose che mettono a dura prova le imbarcazioni. (…) Costeggiamo la penisola di Cotentin. Incendi lungo tutta la costa; una torpediniera, attorniata da piccole imbarcazione, affonda nei pressi di un’isoletta. La nostra zona di pattugliamento è compresa tra Montebourg e Carentan e si chiama con nome di codice: Utah Beach. Siamo di copertura delle divisione aerotrasportate americane 101 e 82, mentre la quarta divisione, appena sbarcata marcia su Sainte-Mère-l’Eglise. Non si vede granché. Il cielo è pieno di caccia americani a coppie. Vanno su e giù un po’ a caso, s’abbassano a fiutarci da vicino, sospettosi (…) L’assenza di reazione da parte della Luftwaffe ci sorprende". Tratto dal suo libro "Le grand cirque" e datato 6 giugno 1944.

Clostermann prende parte al D-Day, e nei giorni seguenti, in missioni di scorta, senza incontrare mai il nemico: al massimo prende qualche mitragliata di un P 51 americano che sembra non aver riconosciuto la formazione alleata – forse qualche yankee annoiato con il grilletto facile. Stabilita la testa di ponte, il secondo giorno di luglio viene definitivamente assegnato a Longues-sur-mer, in territorio francese. Quel giorno, incontra gli Fw 190 – quei caccia ‘dal ventre giallo acceso e verde smeraldo’ e ne abbatte 3. Si guadagna la DFC. Closterman però è giunto sull’orlo del collasso psicofisico. I nervi sono sempre a fior di pelle, da 2 anni. Le missioni e le ora di volo sono centinaia. Gli venne imposto di ritirarsi dalle operazioni di combattimento, e di tornare allo Stato Maggiore ad insegnare come si abbattono i caccia nemici, a migliorare le formazioni, a terra.. distante dal cielo, dove lui non sa più stare – goffo come l’albatro di Baudelarie. Alla fine del 1944 Clostermann chiese ed ottenne il permesso di ritornare in combattimento presso il 122º stormo, unità dotata dei nuovi caccia Hawaker Tempest: così veloci, da staccarti le braccia al decollo, se vuoi tenere la cloche. Vengono impiegati, poco maneggevoli e estremamente difficili da pilotare, per contrastare i nuovi e famigerati caccia a reazione di Hitler, i Messerschmitt Me 262. Sul suo, Les Grand Charles – siglato JF E – li incontrerà in più di una sortita, li inseguirà senza successo, e per abbatterli, volerà in solitaria fino oltre le linee, dovrà aspettare che tolgano manetta per atterrare e piombargli alle spalle per privare il nemico di quel velivolo straordinario. Nel frattempo continuerà a scontrarsi ancora con gli Fw 190 e i Bf 109; pilotati da quei piloti della Luftwaffe che a volte riesce a guardare quasi negli occhi -per quanto gli volta vicino nei duelli aerei – li descrive come dei "piccoli insetti" per via dei respiratori neri e gli occhialini da volo piccoli e tondi, dello stesso colore.

Nell’aprile del 1945, Clostermann ottiene il comando di un intero stormo caccia, il 122°. Al termine del conflitto, quel giovanotto che è divenuto uomo tra le nuvole di mezza Europa, è il pilota francese più decorato di tutta la guerra. Al suo attivo ha circa duemila ore di volo, seicento missioni di guerra e 33 vittorie confermate (23 secondo altre fonti, ndr). Scriverà sul suo quaderno fino alla fine della guerra, fino all’ultimo giorno da pilota da caccia, portandolo sempre con se, sotto il paracadute. E l’ultima volta, la descriverà così: ".. E nel ritorno sono salito con lui molto alto nel cielo d’estate senza nubi, perché solo là potevo dirgli addio. Per l’ultima volta, insieme io e lui, abbiamo puntato dritto incontro al sole. Abbiamo fatto un looping, forse due, alcuni tonneaux molto lenti, accurati, amorevoli, per poter portare via nelle mie dita la vibrazione delle sue ali obbedienti e agili.

Ed ho pianto, nella stretta cabina, come non piangerò più in vita mia, quando ho sentito il cemento della pista sfiorare le sue ruote e con una pressione della mano l’ho costretto al suolo come un fiore reciso …".

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