Lo storico Campi sfida Scurati: "Parliamo di Fascismo..."

Lo studioso: «Non accetta il confronto». Il dialogo con Andrea Romano su patria, nazione e politica

Lo storico Campi sfida Scurati: "Parliamo di Fascismo..."
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(Nostro inviato a Francoforte) Alessandro Campi, storico, lancia, con eleganza, la sfida ad Antonio Scurati, l'autore di M: «Mi piacerebbe discutere con lui, dei suoi temi, del fascismo, del populismo, del sovranismo. Ma si sottrae sempre al dibattito. Se non lo vuol fare con me, lo faccia con un altro, non importa. Quello che importa è uscire dalla logica del finto dialogo che poi è un vero monologo. Tutti si congratulano l'uno con l'altro, le domande sono compiacenti e finisce con una amichevole pacca sulla spalla. No, il dibattito deve essere tra posizioni contrastanti, altrimenti è inutile, oltre che noioso».

Le cose, alla Buchmesse, vanno così. Da una parte, i «dissidenti», senza offesa per i veri dissidenti, si lamentano del clima di intimidazione fascista. L'altro ieri è toccato ad Antonio Scurati (due incontri a Francoforte) e Paolo Giordano (due incontri anche per lui). Oggi e domani tocca a Roberto Saviano. Forse meno di due incontri a testa è censura... Oltre a descrivere un'Italia inesistente, i «dissidenti» non prevedono il dialogo. Parlano tra di loro. Nel Padiglione italiano, nel frattempo, la destra prova a ragionare con la sinistra. All'incontro di ieri, moderato da Tommaso Ricci, si sono confrontati due storici, Andrea Romano, un passato nel Pd, e appunto Alessandro Campi, animatore del dibattito interno alla destra o alle destre. Già, perché Romano e Campi sono d'accordo almeno su una cosa. Non c'è solo la divisione tra destra e sinistra, ma anche le divisioni interne alla destra e alla sinistra. «Ad esempio, non mi definirei, come qualcuno fa, un resistente, la Resistenza è una cosa seria, tragica, valorosa e pericolosa». Chi vuol capire, capisca. Campi non può che essere d'accordo, ha scritto un libro critico verso la destra sovranista.

Pare di capire che destra e sinistra esistano ancora. Qual è la differenza? Non sembra abbia carattere economico: la sinistra da tempo chiede di riformare il sistema capitalistico, e non di rovesciarlo, in vista di una maggiore uguaglianza. Per quanto riguarda la destra, l'economia è forse il punto di maggior spaccatura interna. C'è una destra sociale, paragonabile alla sinistra. Poi c'è una destra sostenitrice del libero mercato. Neppure i concetti di patria e nazione sono dirimenti. La destra ha imparato la lezione del Novecento: nazione, sì; nazionalismo, no. La sinistra, dal canto suo, ha recuperato il concetto di patria che, per un certo periodo, era finito in soffitta.

Alla fine, la divergenza è questa: la destra è particolaristica, la sinistra universalistica. In altre parole, la destra non è disposta a buttare via, in nome della globalizzazione, le diverse culture nazionali. Al contrario, per la sinistra, come ha detto tra l'altro il fisico Carlo Rovelli nel giorno dell'inaugurazione, siamo una grande tribù mondiale, e abbiamo bisogno di istituzioni globali. Le ricadute pratiche sono molto concrete. La destra vuole una politica migratoria restrittiva. Al contrario, la sinistra vede positivamente questo fenomeno, il primo passo verso una mescolanza inevitabile. La destra manifesta scetticismo verso alcune misure e procedure dell'Unione europea. Al contrario, la sinistra ci considera cittadini europei, prima che italiani.

C'è forse un convitato di pietra in questo stimolante confronto: è il senso del sacro, la religione, se preferite. A destra, forse, c'è una sensibilità maggiore e c'è anche l'idea che la religione non appartenga solo alla sfera del privato. Certi valori devono essere portati nella società, in modo tollerante. Il laicismo integrale sembra invece proprio della sinistra. Ci va di mezzo un'idea diversa dell'uomo, della tecnologia e della bio-tecnologia. Sono insomma i cosiddetti temi etici sui quali, giustamente, c'è libertà di coscienza. Ma inutile negare che certe derive intellettuali, per le quali tutto è cultura e niente è natura, sono inconciliabili con una parte importante della destra conservatrice ma anche liberale. Questo potrebbe essere oggetto di un altro dibattito.

Il confronto serrato è proseguito nel tardo pomeriggio con i «Doveri della cultura», incontro al quale hanno partecipato Francesco Borgonovo, Marco Tarchi e Giacomo Marramao. Tarchi: «La cultura è diventata terreno di scontro, e questo crea disagio. È strano in un'epoca in cui si parla solo di diritti, intervenire sui doveri. Il dovere fondamentale degli intellettuali è affrontare la realtà senza pregiudizio e instillare il senso critico».

Monologhi, no, grazie.

Alessandro Gnocchi

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