Come se fosse finito il football. Per gli inglesi Robert Charlton è stato il calcio, la leggenda, il gigante, il gentleman. Da tre anni la sua vita di luce si era fatta opaca e poi buia, la demenza senile aveva cancellato anni di gloria e di celebrazioni, non soltanto del suo popolo, quello del Manchester United al quale aveva regalato 249 gol in 758 partite e una Coppa dei Campioni ma anche al resto della folla inglese, 49 gol con la maglietta bianca dei tre leoni in 106 presenze e quel giorno magico del campionato del mondo, allora con la divisa rossa come i mille papaveri a ricordare il sangue dei morti in guerra. Bobby, dunque, Charlton, simbolo di un football che più non esiste per eleganza e stile, centravanti ma non di puro attacco, ispiratore e realizzatore, il suo shot era tosto, come un colpo sul tamburo, aveva fili di seta sul suo capo glabro, correva e al vento sembravano coriandoli, conclusa l'azione ravvivava quei radi capelli e il gesto era la firma del suo stile al quale mancava soltanto il bowler, la bombetta, insieme con l'ombrello della collezione Brigg.
Era nato l'undici di ottobre del '37, nel nord d'Inghilterra, Ashington il sito, contea del Nothumberland, una fila di case rossastre, terra di miniere, suo padre, Robert Bob aveva le mani e il viso neri di carbone, sua madre Cissie Elizabeth Ellen apparteneva ad una famiglia di calciatori, gli zii, tutti Milburn, Jack giocava nel Leeds Utd e nel Bradford, come George e Jim, mentre Stan aveva provato con Chesterfield, Leicester e Rochdale mentre il leggendario Jackie Milburn, tra i protagonisti del Newcastle e della nazionale inglese, era il cugino della madre. Dunque Bobby mangiava uova col bacon e pallone. Suo fratello Jack lavorava in miniera prima di dedicarsi per obbligo araldico al calcio, però privilegiando la pesca e, soprattutto, avendo una aspra relazione con il fratello, liti che coinvolsero la moglie Norma in attrito con la suocera così da portare Bobby a non poter più incontrare la madre per gli ultimi quattro anni di vita, fino al giorno della sua morte, nel 1992.
I due fratelli firmarono la pace soltanto nel dicembre del 2008 quando fu Jack a premiare Bobby con il riconoscimento di sportivo del secolo degno di entrare nel museo della storia calcistica. Fu il Manchester United la sua vita, insieme con George Best e Denis Law formò la trinità che illuminò l'epopea del Maniu, giocavano nel fango come su un tavolo di biliardo, il cuoio del pallone aveva il colore giallo della paglia e, nelle notturne era invece bianco come la farina. Era un football magico, romantico e insieme spumoso di birra e canti e balli notturni. Era inverno quando stava giocando con i compagni di scuola su uno dei cento prati di quella città del nord e lo vide un tipo che ne intuì le doti, l'offerta di un viaggio verso Manchester, l'United ma in famiglia, soprattutto Jackie Milburn, non gradiva l'idea, meglio il Newcastle con la sua birra potente. Ma ormai i diavoli rossi avevano deciso di prendere il ragazzino. Venne poi tutto il resto fino al sei febbraio del '58. Il Manchester parte da Belgrado, dopo la partita di coppa contro la Stella Rossa, l'aereo fa scalo a Monaco di Baviera per il rifornimento di carburante, l'aria è gelida, la visibilità scarsa se non nulla a tratti sull'aeroporto di Riem, si potrebbe rinviare la partenza al giorno dopo ma il pilota, James Thaim, decide di andar via da Monaco. Il volo British European Airways 609, un charter Airspeed Ambassador, dedicato a William Cecil, primo barone di Burghley, al terzo tentativo di decollo si schianta sulla pista zuppa di neve e fango, erano le tre e trenta. Li chiamavano i Busby Babes, i giovani di Matt Busby che era il loro allenatore. Morirono ventitré dei quarantaquattro a bordo, Bobby si destò dal colpo e aveva la testa insanguinata, stranito chiese notizie dei compagni, si salvarono soltanto in otto con lui. Charlton si portò appresso quella notte di Germania come un incubo dal quale risultò impossibile fuggire.
Il football servì ad addolcire giorni di nuove paure nei viaggi che lo United e la nazionale inglese dovevano affrontare. Robert figlio di un minatore, venne nominato Sir, la sua corona arrivò a Wembley con il titolo mondiale. Di quella squadra resta un solo superstite, sir Geoff Hurst.
Incontrai, di nuovo e per caso, Bobby Charlton a Torino, stava entrando in un negozio di argenteria inglese, si fermò prima sorpreso e poi sorridente, come un vero signore aggiustò i tre fili di bianchi capelli che il vento aveva sollevato, accompagnò la stretta di mano con un invito a bere un bicchiere. Fette di vita lontane che improvvisamente tornano a riscaldare la memoria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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