Iran contro Stati Uniti, la partita più calda del Mondiale

In Qatar ritorna la sfida diretta tra due Nazionali che rappresentano due Paesi in perenne contrasto politico. E questa volta il clima è più teso rispetto agli anni del primo incrocio a Francia '98

Iran contro Stati Uniti, la partita più calda del Mondiale

Iran contro Stati Uniti, dopo 24 anni. Le due Nazionali il prossimo 29 novembre si sfideranno allo stadio Al Thumama di Doha, uno dei due impianti situati all'interno della municipalità della capitale qatariota. Non sarà la prima volta. C'è infatti un unico e importante precedente ai mondiali: quello di Lione del 21 giugno 1998, partita valevole per la seconda giornata del girone F di Francia '98.

La sfida tra le due Nazionali non è banale. E non per vicende prettamente agonistiche. Nel 1979 la rivoluzione islamica di Khomeini toglie dal potere il monarca filo Usa Rheza Palevi e instaura una teocrazia sciita che vede nell'occidentalizzazione della società un grande nemico da abbattere. Quella rivoluzione ha come epilogo il sequestro di numerosi funzionari all'interno dell'ambasciata statunitense a Teheran.

Da allora le relazioni tra i due Paesi si interrompono. Per gli ayatollah iraniani, gli Stati Uniti costituiscono il “grande satana” del mondo. Mentre, dall'altro lato, la teocrazia sciita viene vista come oscurantista dagli statunitensi. A scontrarsi politicamente sono quindi due visioni di mondo agli antipodi, in cui l'una considera l'altra come il male da abbattere.

Come si arriva alla sfida del 1998

Quando il 29 novembre a Melbourne, dove la squadra iraniana è impegnata nello spareggio intercontinentale contro l'Australia, l'attaccante Khodadad Azizi insacca e porta la nazionale a qualificarsi per i mondiali di Francia '98, non immagina nemmeno cosa ha appena fatto.

Sa forse di aver scritto la storia calcistica del suo Paese. Perché prima di allora, l'unica partecipazione a un mondiale dell'Iran è quella di Argentina '78. Ma non può certo sapere che in quello stesso momento il suo gol apre la strada a uno degli incontri più caldi, sotto il profilo politico, nella storia della competizione iridata.

Pochi giorni dopo infatti, nel sorteggio tenuto a Marsiglia il 4 dicembre, la nazionale iraniana viene inserita nel girone F. All'interno del raggruppamento ci sono Germania e Jugoslavia. Troppo forti per l'Iran di allora, già consapevole di poter giocare al massimo tre partite in terra francese. Ma c'è poi una quarta nazionale. È quella degli Stati Uniti. Finito il sorteggio, iraniani e americani sanno che il 21 giugno 1998, giorno fissato per la partita tra le due rappresentative, l'intero mondo tratterrà il fiato.

L'attesa per la partita più calda

Lo stadio designato è il “De Gerland” di Lione. Gli iraniani hanno l'occasione di sfidare quelli che per loro rappresentano l'imperialismo, la forza arrogante che impone le sue scelte e che esporta la corruzione dell'economia e dei costumi in tutto il pianeta. Il grande satana cioè che sostiene inoltre il “piccolo satana”, ossia Israele. Gli americani, dal canto loro, considerano l'Iran il male oscuro del medio oriente, la teocrazia anacronistica capace di destabilizzare la regione e di bloccarne ogni sviluppo democratico.

In un mondo senza più guerra fredda, è forse quello il confronto più agli antipodi che ci si può aspettare. C'è però un elemento che, alla viglia di quel 21 giugno, fa tirare un sospiro di sollievo agli organizzatori del mondiale. Entrambe le federazioni calcistiche mostrano di voler lasciare a casa la retorica politica che anima gli scontri tra i due Paesi. Anzi, iraniani e statunitensi hanno tutto l'interesse a dimostrare di saper tenere in mano la gestione di un incontro su un terreno di gioco.

Non solo, ma i rapporti tra i due governi in quel momento appaiono interlocutori. C'è sempre una certa tensione latente, ma è anche vero che nell'ultimo decennio qualcosa è cambiato. Il nemico numero uno in medio oriente per gli Usa dal 1991 è l'Iraq di Saddam Hussein e in questa ottica l'Iran rappresenta ora un “male minore”. Inoltre a Teheran dall'agosto 1997 è al potere il presidente riformista Mohammed Khatami, il quale promette riforme e un maggiore dialogo con l'occidente.

La sfida del De Gerland è però pur sempre una vetrina internazionale di primissimo rilievo. E se federazioni sportive e governi scelgono una via diplomatica, non altrettanto invece fanno le organizzazioni che hanno interesse a scaldare la situazione. La Fifa infatti viene informata, alcune settimane prima della partita, che almeno settemila biglietti risultano sospetti. Vengono acquistati da personaggi ritenuti vicini ai Mujahedin Khalq, gruppo in contrasto con la Repubblica Islamica e finanziato dall'Iraq di Saddam. Il loro obiettivo è trasformare la partita in un momento in cui rivendicare la propria azione contro le autorità di Teheran. Per farlo hanno in mente di mostrare striscioni provocatori oppure invadere il campo.

Una sfida nelle mani di un funzionario Fifa

La mattina del 21 giugno 1998 a Lione fa molto caldo. C'è un uomo in un albergo della città francese che sa di dover quel giorno fare l'impossibile. Si tratta di Mehrdad Masoudi. Il nome non dice nulla, ma è lui in parte a scrivere la storia della sfida più sentita del Mondiale. È l'addetto stampa e delegato Fifa per la partita tra Iran e Stati Uniti. Le sue origini iraniane lo aiutano a conoscere meglio la situazione.

Sa bene di trovarsi davanti una situazione surreale. Deve gestire eventuali incidenti diplomatici e garantire il normale svolgimento del match. Una mole di lavoro del genere per una partita che sportivamente ha da dire poco, essendo le due nazionali candidate all'eliminazione immediata, non si è mai vista.

C'è un primo ostacolo da superare. La Fifa per ogni partita ai mondiali designa una squadra A e una squadra B. Non è solo una questione di tabellino, ma anche di protocollo. La squadra B, per regolamento, dopo gli inni nazionali deve andare verso la squadra A per stringere le mani agli avversari. In quel caso la squadra A è quella statunitense e la squadra B è l'Iran.

Da Teheran alcuni funzionari vicini all'ayatollah Khamenei alzano la cornetta e chiamano i dirigenti della federcalcio presenti a Lione. C'è l'ordine perentorio per gli iraniani di non andare verso gli americani. Masoudi quindi deve mediare per cercare una soluzione in grado di soddisfare tutti. “Per fortuna – dichiara diversi anni dopo in alcune interviste – gli statunitensi hanno accettato di invertire il protocollo”. Quindi, eccezionalmente per questa volta, è la squadra A ad andare incontro alla squadra B.

Masoudi, risolta questa prima grana, deve far fronte alla possibilità che settemila persone sugli spalti inscenino una protesta contro la Repubblica Islamica. Arrivato allo stadio, il delegato Fifa si accorge che diversi striscioni provocatori, inneggianti i Mujahedin Khalq, sono già poggiati sugli spalti. I timori della Fifa e degli organizzatori sembrano avversarsi.

Sapevamo – racconta ancora Masoudi – chi erano i piantagrane e quali striscioni potevano creare problemi. Per cui abbiamo dato disposizione agli operatori televisivi di non riprendere determinati settori dello stadio”. Il piano funziona: nessuno, al di fuori di chi si trova al De Gerland, si rende conto durante la partita di cori e striscioni provocatori. Viene inoltre schierata la polizia in tenuta antisommossa lungo il perimetro del campo: in questa maniera viene scongiurata una possibile invasione.

Masoudi e la Fifa, mentre le squadre sono in campo per il riscaldamento, tirano un sospiro di sollievo. A far allentare la tensione anche la scelta, presa poco prima dell'arrivo allo stadio dei giocatori, del presidente della federcalcio iraniana, Mohsen Safaei Farahani. Quest'ultimo decide di far entrare i suoi giocatori in campo con una rosa bianca in mano. Un ulteriore gesto di distensione. I 22 giocatori si fanno ritrarre assieme in un unico scatto dopo il saluto tra i capitani e la partita ha inizio.

Dopo mesi di tensioni e preparativi, Masoudi può accomodarsi in tribuna sollevato. L'arbitro svizzero Urs Meier dà il via alla sfida. Il centrocampista iraniano Hamid Estili sblocca il punteggio sul finire del primo tempo con un colpo di testa. Nella seconda frazione l'Iran riesce a gestire e al minuto 84 raddoppia con il difensore Mehdi Mahdavikia. A nulla vale il gol della bandiera realizzato, a tre minuti dal fischio finale, da McBride per gli Stati Uniti.

In Iran è festa doppia. La nazionale per la prima volta coglie una vittoria a un mondiale e riesce a battere i rivali statunitensi. A vincere però è soprattutto la normalità. Perché in fondo di quel 21 giugno il ricordo più nitido che rimane è proprio quello di una partita come le altre, dove la retorica politica e le recriminazioni reciproche per un'ora e mezza non trovano alcuno spazio in campo. Ad accorgersene è anche il difensore americano Jeff Agoos che, subito dopo la sfida, dichiara: “Abbiamo fatto più noi in 90 minuti che i politici in 20 anni”.

Come si arriva alla partita del 29 novembre

Sarà una partita normale anche quella del prossimo 29 novembre? Dopo la sfida del 1998, Iran e Usa sul campo si affrontano soltanto nel 2000 in un'amichevole organizzata a Pasadina. Il primo aprile scorso le due nazionali vengono inserite nel girone B, insieme a Inghilterra e Galles.

Il clima in cui si arriva al nuovo confronto diretto è forse più teso rispetto a quello del 1998. In primis, per la stretta attualità. In Iran sono in corso numerose proteste popolari per via della morte di Mahsa Amini, ragazza portata via dalla polizia perché rea di non indossare correttamente il velo. Proprio per via delle proteste, alla vigilia dei mondiali sono diversi gli appelli volti a escludere la nazionale iraniana dal torneo.

In secondo luogo, perché Teheran e Washington sono di nuovo ai ferri corti. Appena due anni fa, il 3 gennaio 2020, un raid statunitense a Baghdad uccide il generale iraniano Qassem Soleimani, volto popolare delle guardie della rivoluzione e artefice della politica estera del suo Paese. Un episodio vissuto in Iran come un grave affronto, quasi una dichiarazione esplicita di guerra.

A questo occorre aggiungere anche le tensioni generate dalla guerra in Ucraina, dove Teheran è il principale alleato militare della Russia, alla quale la Repubblica Islamica gira centinaia di droni.

C'è da aspettarsi un clima teso. Forse, come 24 anni fa, prevarrà alla fine l'aspetto sportivo.

Specie se le due nazionali, più forti rispetto al 1998, avranno ancora possibilità di accesso al secondo turno. Tuttavia i giorni che precederanno la sfida saranno particolari. Perché quando a incontrarsi sono Iran e Stati Uniti, per l'appunto, nulla è banale.

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