Gli strabici

Tra i vari commenti più o meno convincenti, più o meno informati e colti espressi sulle elezioni americane, fa un po' sorridere quello dei dirigenti dell'Udc: «Avete visto. Anche negli Stati Uniti c'è una convergenza al centro». Gli uomini di Pierferdinando Casini si presentano di questi tempi come gli eredi della vecchia Dc, dell'ala dorotea-moderata di quel grande partito. In realtà per alcuni versi ricordano piuttosto i socialdemocratici della fase finale, quella in cui la completa rottura del Psi con il Pci, aveva tolto spazio al partito del sole nascente e aveva assegnato agli eredi del colto, coraggioso, provvidenziale Giuseppe Saragat, un ruolo che talvolta appariva strapaesano. Pensiamo, per capirci, a un politico pure furbo e capace come Franco Nicolazzi, uno capacissimo di fare un commento alla Lorenzo Cesa (il segretario dei centristi casiniani) di oggi, del tipo: «Ora che l'uomo è andato sulla Luna, chissà se mi fanno raddoppiare la Gattico-Novara».
È evidente come anche le elezioni di midterm americane possano essere occasione per arricchire la cultura politica italiana. E dunque sia utile analizzarne andamento e senso. Per esempio non sarebbe male ragionare sul difficile intreccio tra difesa di una morale tradizionale - che qualcuno con argomenti chiama anche naturale o razionale - (con tutte le questioni che questa implica, dalle cellule staminali ai matrimoni gay, alle regole per l'interruzione della maternità) e sostegno a un approccio laico e liberale alla gestione della cosa pubblica. Basta la formuletta della corsa al centro per risolvere problemi di questo tipo, per affrontare contraddizioni serie nel campo moderato dove per esempio un giornale ultraliberista come il Wall Street Journal appoggia in più d'un caso le posizioni della sinistra liberal? Affrontare la montagna di problemi che l'establishment diplomatico-militare ha posto a Donald Rumsfeld, è possibile evocando solo la necessità di un rapporto con più o meno immaginari moderati? La ricerca da parte dei Repubblicani di un'identità che non sia definita solo dallo strapotere del sistema dei media ma abbia anche radici autonome, è questione reale o fanfaluca da sostituire con la rincorsa sempre e dovunque delle idee correnti? Davvero le questioni internazionali in campo, possono essere risolte nella loro essenza con l'estendersi di un diritto internazionale che regoli con il potere della legge e non con la volontà degli Stati la definizione di un nuovo ordine nazionale? Sul serio si ritiene che quello strano combinato di capitalismo un po' sfrenato e autoritarismo comunista ancora ben stabile, che è la Cina Popolare sia uno dei soggetti su cui si potrà fondare un ordine basato solo sul diritto, come sostiene Timothy Garsh su Repubblica giudicando fallita la missione di George Bush? O che caratteristiche da «fondamento» di un nuovo ordine democratico internazionale si possano trovare in quella potenza rivoluzionaria che è l'Iran? Se i diversi aspetti della politica americana sono esaminati con precisione, si possono trovare tante lezioni interessanti per il centrodestra italiano e il suo lungo sforzo di definizione di un profilo programmatico: e si potrà anche trovare qualche elemento per sviluppare un maggiore spirito bipartisan tra destra e sinistra italiane sulle questioni che riguardano l'interesse nazionale.

Se invece si usa una grande e complessa vicenda internazionale come il recente voto americano per sostenere tesi da parrocchietta, allora - come direbbe Corrado Guzzanti - non si fa altro che recitare un ruolo da «socialdemocratici su Marte».

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