D'accordo ieri sera all'Ippodromo La Maura di Milano c'erano oltre 67mila persone. Va bene, il 22 per cento degli spettatori arrivava dall'estero, con importanti ricadute anche sul Pil milanese. E, sia chiaro, stiamo parlando di un gruppo che nel 2023 ha pubblicato il secondo disco più venduto al mondo (si intitola 5-Star e la fonte è Ifpi). Però resta da chiedersi per quale motivo gli Stray Kids, ossia otto coreani (del Sud) messi insieme da un reality show nel 2017, siano in grado di scatenare così tanto entusiasmo che già giorni fa c'erano fan accampati fuori dall'Ippodromo. Uno dice: magari sono sempre presenti sui media, creano scandali, lanciano chissà quali messaggi.
Ennò.
Questi ragazzi, che sono uno dei simboli del pop coreano detto K-Pop, hanno una di quelle caratteristiche che stanno diventando decisive: fanno squadra, creano gruppo, danno un'identità. Come è accaduto spesso negli anni Ottanta e, un po', anche nei Novanta, gli Stray Kids (per qualcuno è quasi blasfemo il riferimento agli Stray Cats) raccolgono quella parte di Gen Z che è meno sensibile alla trap e all'urban e che sente forte il richiamo della spettacolarità, dell'impasto di voci, delle coreografie millimetriche.
Nel gruppo c'è un leader formale, ossia Bang Chan, ma sono sostanzialmente tutti sullo stesso piano e, soprattutto, alla stessa velocità visti i ritmi con i quali si esibiscono sul palco. Parlando ieri sera prima dello show, Seungmin ha detto che «la strda per arrivare fin qui non è stata breve ma lunga, abbiamo attraversato molti cambiamenti ma non abbiamo mai perso la nostra caratteristica distintiva». Lo hanno fatto cantando ovviamente in coreano, ma anche per la prima volta in inglese con il singolo Lose my breath inciso con Charlie Puth. «Noi possiamo cimentarci anche con il pop tradizionale», aveva spiegato sempre lui qualche tempo fa a Billboard: «Siamo sempre stati abituati a cantare con un tono molto forte, ma questa volta lo abbiamo abbassato». Per loro, che sono tutti ventenni, il concerto di ieri sera è stata l'unica tappa europea del tour mondiale e, come ha detto Han, «sappiamo bene di essere tra i primi gruppi K-pop che si esibiscano in Italia». E, come quasi tutti, hanno anticipato l'arrivo a Milano per godersi ciò che dicono sempre di voler fare, ossia assaggiar ela cucina italiana e, naturalmente pure la moda visto che hanno girato le boutique delle griffe più conosciute.
Più o meno come accadeva alle boy band degli anni Novanta, hanno un seguito quasi maniacale, che viene strategicamente stuzzicato a dovere per mantenere costante l'attenzione. Ad esempio il nuovo album, di cui hanno parlato ieri: «Si intitola ATE e ci rappresenta al meglio. Abbiamo pubblicato il teaser pochi giorni fa - ha detto ieri Bang Chan - e abbiamo ricevuto tanti feedback positivi dagli Stay». Ah, gli Stay sono la loro fan base, il cuore dei loro fan che, come ogni plotone di tifosi, ha un nome ben preciso: «Abbiamo tolto la r da Stray ed è rimasto Stay», aveva spiegato tempo fa Felix. In sostanza, gli Stray Kids sono un polo d'attrazione generazionale che spesso sfugge ai media tradizionali ma raggiunge con precisione una quantità sterminata di pubblico. Ovunque.
Con fatturati stramilionari. E una parola chiave: condivisione. Essere un fan degli Stray Kids significa avere il passaporto per entrare in un mondo che non è solo musicale, anzi, è proprio un fugace collante esistenziale.
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