Streep ritira la Palma e incorona Clint. "Sul set il migliore di tutti è Eastwood"

L'attrice: "Avevo amici mai tornati dal Vietnam, perciò Il cacciatore è il mio film più doloroso". Francis Ford Coppola accusato di "condotta inappropriata"

Streep ritira la Palma e incorona Clint. "Sul set il migliore di tutti è Eastwood"
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Seconda apparizione e seconda standing ovation in nemmeno ventiquattr'ore. Con Meryl Streep è così. Non ce n'è uno che non le voglia bene e dovunque va, tutti in piedi e battimani. Lei ringrazia. Si inchina. Sorride. Allarga le braccia. E, mentre gli altri sono tutti in piedi, si siede. Non è snobismo ma amore di normalità.

«Sono una ragazza qualunque del New Jersey ma se avessi recitato sempre quella lì, oggi non sarei in questa sala con la palma in mano». Che cosa la attrae è presto detto. «Mi attirano le non Meryl Streep, quelle donne comuni o famose, lontane da me e cui non assomiglio minimamente».

Fioccò il primo di tre oscar individuali più quelli conquistati da tanti «suoi» titoli. Il cacciatore, ad esempio. Correva il 1978 e Meryl canta per la prima volta. «Intonammo tutti God bless America. La meraviglia è che in quel momento la voce viene dal cuore».

E, in quell'occasione, si coniugava a un momento triste. Il Vietnam. «La ragazzina del New Jersey aveva visto alcuni amici partire e non fare più ritorno. Aveva avuto anche un fidanzato, costretto ad andare in guerra. Lui è tornato, grazie a Dio. Ma non è stato più lo stesso».

I conflitti si combattono e si perdono tutti insieme perché anche il vincitore ci rimette sempre un po'. Tuttavia si continua. «Quella scena finale, nella realtà, la visse ogni americano. Nel suo intimo».

Un Olocausto, a suo modo. Uno dei tanti. Quello degli ebrei esce di riflesso da La scelta di Sophie, seconda statuetta e donna lontanissima dalla Meryl che gli anni del nazismo non li ha conosciuti. «Anche la Thatcher c'entra poco con me...» abbozza ironica. Eppure è solo uno dei tanti volti famosi che porta nella memoria.

Proviamo con il solito giochino. Tre monumenti della mascolinità. Steven Spielberg. «Un genio. Non esiste altro modo per definirlo». Clint Eastwood. «Il migliore di tutti. È adorabile lavorare con lui. Alle quattro in punto smette perché il golf è sacro. Al massimo gira un paio di riprese e non butta via nulla. Non alza mai la voce... Beh, oddio, quasi mai. Diciamo che quando lo fa lo sentono tutti. E nessuno replica».

Robert Redford. «Nella Mia Africa doveva lavarmi i capelli. Era una scena d'amore. Idealmente, nell'intento di Sidney Pollack, dove rappresentare allegoricamente l'intimità. Ebbene, mai visto un lavaggio peggiore. No good, you know».

Il pensiero corre a Jane Fonda che un anno fa, proprio a Cannes, definì Redford una delusione nel campo del sentimento e dintorni. Vox populi femminile. E allora che cosa dovrà mai avere un regista? «Deve essere un confidente, capire e condividere gli stati d'animo. Se poi riesce a essere perfetto al primo ciak come Clint Eastwood, simpatico come Mike Nichols, geniale come Spielberg, intuitivo come Alan Pakula o divertente come Nora Ephron... beh, tanto meglio. Tra tutti però voto per Clint. Anche se siamo diversi e non abbiamo in comune proprio le stesse idee».

Intanto scoppia un caso intorno a Francis Ford Coppola dopo un lungo articolo del quotidiano britannico Guardian. Durante le riprese del film presentato a Cannes, Megalopolis, Coppola, 85 anni, si sarebbe lasciato andare a una serie di comportamenti inappropriati, da «vecchia scuola», in particolare nei confronti delle comparse, facendo sedere alcune donne sulle ginocchia e, durante una scena all'interno di un night club, avrebbe cercato di baciare delle ragazze in topless per «mettere gli attori nell'umore giusto».

Il produttore del film, Darren Demeter, ha difeso il comportamento del regista, affermando che rientrava nella necessità di spiegare al meglio la scena, «molto importante per il film», oltre a sottolineare che «non è mai stato a conoscenza di alcuna denuncia di molestie o comportamenti scorretti durante il progetto».

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