Gli studenti del sud più bravi o più furbi?

I voti della maturità sono più alti al Sud che al Nord, mediamente del 10 per cento, quest'anno come l'anno scorso. Il modi più sbrigativi per rispondere al problema «come mai?» sono due, e di segno opposto. Il primo è che gli studenti meridionali sono più bravi, si applicano maggiormente e ottengono risultati migliori. La seconda possibile risposta è che gli insegnati meridionali sono di manica più larga, proprio come è più largo il sorriso dei baristi «terroni».
Teniamo parzialmente per buone entrambe le risposte, che di certo contengono un fondo di verità.

Ma la questione non può essere liquidata in maniera così grossolana, anche se ci sarebbero esempi a suffragare entrambe le ipotesi. Da un'indagine recente, per esempio, risulta che una percentuale altissima di giovani studiosi meridionali brilla nei master e negli istituti di ricerca di tutto il mondo, più di quelli del Nord. Sarà una maggiore necessità di emigrare? Mmmmmmmmm, questa sì che è una spiegazione stiracchiata. D'altra parte è anche vero - ricordo benissimo - che fino a qualche anno una percentuale altissima di laureati in giurisprudenza andavano a fare gli esami di Stato per diventare avvocati nientemeno che a Reggio Calabria, dove c'erano molte più possibilità che altrove di superare la difficile prova.
Fra un pro e un contro, in mancanza di analisi statistiche e indagini sociologiche precise, non resta che alzare il naso per aria e cercare di fiutare la verità.

La mia personale esperienza di docente (in un ateneo romano che raccoglie studenti da tutta Italia) mi conferma due dati, di cui il primo tragico e risaputo: si arriva all'università sempre meno preparati dalle scuole superiori; è un fenomeno antico, decennale ormai, e ci vorranno anni e anni di lavoro del ministero della Pubblica istruzione per rimediare ai danni pregressi. La seconda impressione, sul campo, è che davvero gli studenti che vengono dal Sud siano più preparati, che abbiano studiato di più, che ci mettano più impegno.

Non ne faccio certo una questione razziale o di superiorità intellettuale, per carità, bensì di promozione sociale. Al Sud il «pezzo di carta», diploma o laurea che sia, è ancora uno strumento - più che al Nord - capace di portare a un riconoscimento pubblico, a un impiego, a un salto di qualità della propria esistenza. Quando, tanti anni fa, tenni un corso in un ateneo campano, chiedevo spesso agli studenti come mai avessero scelto una facoltà in apparenza così poco produttrice di lavoro come Scienze politiche. La risposta era quasi sempre la stessa: «Serve per i concorsi». E per i concorsi (come oggi per accedere alle buone facoltà delle migliori università) occorrono voti finali alti. Ammetto che non trovavo la risposta intellettualmente eccitante, ma non potevo - e non posso - dimenticare che io stesso, di famiglia povera, ho usato lo studio come una fune per sfuggire alla condizione economica dei miei. Studente sciaguratissimo (e senesemente terrone) fino all'ultimo anno del liceo (a Milano), presi (sempre a Milano) una laurea con lode e con un - già allora rarissimo - bacio accademico che mi impressionò più di qualsiasi altra cosa.

Conferma questa teoria un dato statistico oggettivo. In proporzione, nel Sud sono molti di più i maturandi dei licei che quelli degli altri istituti superiori, tecnici o professionali. Il motivo è evidente: la scarsità di industrie, quindi di posti di lavoro tecnici, invita a tentare il salto della professione, quindi del liceo. E al liceo - per forza di cose che non occorre spiegare - bisogna studiare di più, anche perché si deve proseguire verso l'università, dove per accedere nelle migliori ecc. ecc.

Insomma, è vero che a

pensar male comediceandreotti, ma non mi stupirebbe affatto se - a un’indagine seria, che andrà fatta - risulterà che davvero si studia di più, nel nostro ex mondo della Magna Grecia.
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