Il mondo del lavoro ha fame di carpentieri, operai specializzati, elettricisti, saldatori, idraulici, ma anche cameriere, cuoche, parrucchiere, sarte, magliaie. Lo sanno bene i giovani che non si vergognano a dire: io faccio un mestiere manuale, no, non ho un diploma di ragioneria, neppure quello di geometra e tanto meno quello di maestra d’asilo. Lo sanno bene quei giovani che hanno scelto una scuola di tipo professionale e non conoscono la disoccupazione. Dopo sei mesi o un anno al massimo, più del 60% ha un lavoro dignitoso, uno stipendio in tasca che oscilla dai 600 ai 1000 euro e a diciassette anni non stanno più a ciondolare davanti al bar o a ipnotizzarsi davanti alla playstation in attesa di un futuro sempre più incerto.
E dopo l’apprendistato o il tirocinio, il lavoro diventa stabile per circa la metà dei diplomati. Già, perché, snobbati e guardati con sufficienza, i corsi professionali non sono lo scarto della scuola pubblica e privata, hanno una dignità importante e offrono una capacità di recupero soprattutto per quella fetta dei giovani che abbandonano gli studi troppo presto. «Il 30% degli studenti italiani non arriva al diploma, una delle percentuali più alte nei paesi dell’Ocse» ci spiega Giorgio Vittadini, Presidente della fondazione per la sussidiarietà «ed è a loro che ci rivolgiamo per la nostra attività di recupero». Vittadini è un esperto. Ha curato il rapporto «Sussidiarietà e istruzione e formazione Professionale» di cui pubblichiamo alcuni dati e conosce bene la realtà dei Centri di formazione professionale, gestiti dalle Regioni, dai salesiani, o da laici che hanno sposato una finalità a sfondo ideale.
«Seguire questi ragazzi non significa profitto, significa metterci risorse, energie, volontariato, passione e tutto quello che serve a recuperare molte persone che hanno già fallito, non hanno un mestiere e rischiano di essere bruciati per tutta la vita». Attenzione però, il disagio giovanile non interessa solo la fetta degli emarginati. «È un problema trasversale, che riguarda una quota rilevante di famiglie della media borghesia. Il nesso classe sociale - disagio giovanile non regge più. I giovani sono semplicemente incapaci di studiare per un obiettivo a causa dei problemi comportamentali della famiglia o del contesto sociale in cui vivono». Ecco allora che una preparazione pratica serve a far riacquistare fiducia in se stessi e ad integrarsi nella società. «Alcune volte arrivano da noi giovani senza nessuno stimolo e ci dicono di non avere alcun interesse, ma poi si entusiasmano per la manualità e ritrovano il sorriso».
Attualmente sono 100mila i ragazzi dai 14 ai 17 anni che frequentano i Cfp diramati in tutta Italia. Si trovano bene a scuola. Non a caso il giudizio complessivo sull’insegnamento è ottimo per tre studenti su dieci e buono per quasi la metà di loro. Il percorso formativo è apprezzato da otto giovani su dieci e i professori sono «promossi a pieni voti» da quasi il 75% della popolazione scolastica. Gli insoddisfatti sono una quota esigua (4,5%). Meno contenti i 150mila studenti che frequentano gli Istituti professionali statali, i cosiddetti Ips. Qui, il giudizio sul percorso formativo è «molto positivo» solo per il 27% dei diplomati e «abbastanza positivo» per il 49%. La scuola statale sembra meno coinvolgente: sono meno motivati gli insegnanti, meno selezionati i corsi di studio.
Non a caso, cinque diplomati su dieci fanno un lavoro diverso da quello per cui hanno studiato. Nei Cfp, invece, quasi sei diplomati su dieci trovano un lavoro in linea con il titolo di studi. Inoltre, il 30% dei giovani ha impiegato meno di un mese a trovare lavoro e un altro 30% ha dovuto aspettare solo sei mesi. Fa da traino la Lombardia o il Piemonte dove il numero di assunzioni è molto alto e la frequenza a un Cfp o a un Ips diventa una garanzia di un posto di lavoro a tempo indeterminato e decorosamente retribuito (circa 1000 euro al mese).
Diversa, e purtroppo negativa, la situazione al Sud.In Sicilia, ma anche in Lazio, la fanno da padrona i contratti atipici. Che significa lavoro nero, zero contributi e sfruttamento. Se c’è contratto, infatti, lo stipendio non supera i 600 euro al mese.
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