Subito aliquote più basse senza pietà per chi evade

Continua il dibattito sulla riduzione della pressione fiscale. Il punto di partenza è la tolleranza zero con chi truffa l’Erario. Le ispezioni funzionano, ma finiamola con le ipocrisie

Subito aliquote più basse 
senza pietà per chi evade

Tagliare le tasse senza perdere gettito? Si può e si deve. Ieri lo ha ricordato Vittorio Fel­tri con la solita franchezza citando le spese inutili, ma si può essere ancora più ambizio­si. Utopia? No, però occorre presentarsi da­vanti ai cittadini con una discontinuità credibile: un giorno zero delle tasse che possa es­sere visto come un vero patto tra il fisco e i contribuenti. Vediamo come.

Innanzitutto bisogna sgombrare pesantemente il campo dalla demagogia: ogni argomento o propo­sta di riforma che inizi dicendo che chi di­chiara diecimila euro è povero e chi ne di­chiara centomila è ricco non porterà da nes­suna parte. Diciamo piuttosto che in media in Italia chi dichiara poco è un evasore e chi dichiara tanto è onesto: il primo va stanato il secondo va premiato. Ovvio che in mezzo agli evasori ci siano anche alcuni poveri ve­ri: di loro parleremo dopo, ma per questa ca­tegoria di persone le tasse non sono il primo problema, necessitano di aiuti di altro tipo. Tutto ciò premesso, come tagliare pesan­temente le aliquote per i contribuenti onesti senza perdere gettito? La soluzione c’è già ed è contenuta in una riforma che è già stata fatta in modo bipartisan e della quale si par­la poco: si tratta della riforma delle esattorie avviata in modo lungimirante da Tremonti nel 2004 e integrata dal centrosinistra con al­cuni provvedimenti sin trop­po invasivi di ispezione dei conti correnti. Il risultato è che in tanti si stanno renden­do conto che il nuovo fisco informatizzato ti vede, ecco­me. La paletta della finanza che «censisce» le macchine di grossa cilindrata sta ve­nendo vista da sempre più persone, così come stanno diventando normalità le ispezioni nei porti e la raccol­ta degli elenchi dei clienti di chi vende beni di lusso. Il tut­to raccolto in database infor­matici. A questo punto le mi­nacce di sanzioni per gli eva­sori potrebbero diventare per la prima volta credibili, invece delle solite grida manzoniane che finora non hanno mai fatto paura a nes­suno.

Ecco quindi su cosa si do­vrebbe fondare il nuovo pat­to fiscale: uno Stato che ridu­ce di molto le sue pretese, an­che tagliando fuor di dema­gogia le irrealistiche aliquo­te marginali, che oggi colpi­s­cono solo pochissimi bene­fattori, ma che insieme a ciò si dichiara inflessibile con chi nonostante tutto conti­nuerà a evadere, con pene esemplari e soprattutto per la prima volta con la credibi­lità di saper scovare chi fa il furbo. Basterebbe stabilire che le supersanzioni, anche penali e proporzionate alla cifra evasa, si applicheran­no solo a partire dal momen­to in cui le aliquote verran­no abbassate. Sarebbe op­portuno anche coinvolgere nel patto la magistratura, chiedendo un particolare ze­lo e processi per direttissi­ma ( tanto abbiamo visto che se vogliono sanno fare in fret­ta) per i futuri evasori pesca­ti senza più giustificazione. È la ricetta svizzera: tasse percentualmente ragionevo­li anche per i «ricchi» ma controllo inflessibile e tolle­ranza zero per chi fa il furbo. Un mix possibile solo se è credibile il timore di essere scoperti e puniti: oggi forse per la prima volta ciò è realizzabile anche in Italia. Il pun­to degli sgravi per gli indigen­ti è conseguente: finché non si ricostruisce la base impo­nibile corretta, applicarli sul reddito basso dichiarato non serve a nulla perché rischiano di andare a chi non li merita. Nel «nuovo patto» il sostegno ai poveri dovreb­be essere assai sostanzioso ma subordinato anch’esso a verifica dell’effettiva condi­zione di bisogno, una specie di schema a specchio dove le ispezioni si accertino che il ricco paghi il giusto e che gli aiuti finiscano a chi dav­vero li necessita.

Un’ultima parola per latas­sazione sui titoli e sui guada­gni in borsa: su quest’argo­mento oltre che alla sinistra anche alcuni esponenti di centrodestra, come ad esem­pio Renata Polverini, ogni tanto dicono sciocchezze: chi investe, rischiando, i pro­pri risparmi non è un nemico ma uno da trattenere e in­centivare.

Se lo Stato (Polve­rini inclusa), le imprese e le banche si tengono in piedi è perché ci sono i risparmiato­ri che trasferiscono loro de­naro comprando azioni e obbligazioni, e non sono obbli­g­ati a farlo. Pensare di tassar­li di più, con l’entità del no­stro debito, equivale a sega­re il ramo su cui si è seduti.

 

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica