Noi di una certa età abbiamo un privilegio: quello di ricordare ciò che i giovani non sanno o sanno poco e confusamente. Ieri, quando ho letto sulla Repubblica che Lucio Magri era morto suicida in Svizzera, assistito da un medico amico in una struttura idonea a quel genere di pratica odiata dai cattolici, il mio primo pensiero è corso agli anni Cinquanta e Sessanta, quando lui, Lucio, era democristiano e passeggiava lungo il Sentierone, a Bergamo (città nella quale abitava), con un gruppo di amici del partito. Era un giovane avvenente, brillante, e molte ragazze se lo mangiavano con gli occhi.
Già. Magri cominciò la sua carriera politica nella Dc, anche se non aveva le stigmate del baciapile orobico, forse perché originario di Ferrara. Evidentemente era cattolico, come quasi tutti i bergamaschi, di nascita o di adozione, in quegli anni in cui l’odore dell’incenso e del fumo di candela sovrastava quello della polenta. Ma gli uomini per fortuna, o per disgrazia, cambiano idea con facilità. Lucio la cambiò. E da virgulto dello Scudocrociato, che gli avrebbe assicurato un futuro comodo e agiato, divenne un dirigente comunista. Ma anche nel Pci assunse posizioni eretiche e fu radiato con vari compagni, gente di qualche peso, tra cui Rossana Rossanda, Luciana Castellina e Luigi Pintor. E fu con loro tra i fondatori del Manifesto, mensile divenuto quotidiano e movimento politico. Non spesso, ma a Bergamo egli tornava e si incontrava, ovviamente sul Sentierone, con vecchi compagni: Eliseo Milani, deputato del Pci e del Manifesto ( morto pure lui) e Carlo Leidi, notaio rosso (morto pure lui). Ecco la tragedia: avere buona memoria significa avere in testa una fila di lapidi. Una sera Leidi m’invitò a cena (nella sua cascina sobriamente restaurata) nonostante passassi per un avversario politico: ero considerato socialista perché dirigevo Bergamo Oggi , foglio scapigliato e concorrente fastidioso del curiale Eco .
A tavola sedevano anche Lucio Magri ed Eliseo Milani, che conoscevo superficialmente: qualche parola scambiata al Balzer, il locale all’epoca più frequentato. Milani era burbero all’apparenza e, di fatto, un giocherellone. Magri era un tipo elegante,curioso,dall’eloquio forbito: mi rivolse una raffica di domande sul giornale che facevo e sulla mia esperienza al Corriere. Poi la conversazione, dominata da Leidi, scivolò presto in politica. Argomento centrale: Craxi, il craxismo, la sinistra, Milano da bere. Le solite cose di quegli anni. Lucio mi sembrò, fra tutti, il più sereno, distaccato, direi obiettivo. Non alzò mai la voce che, comunque, tradiva una certa passionalità. Si concesse qualche digressione improntata a pessimismo sul futuro della sinistra. Era scettico sulle possibilità dell’eurocomunismo e del compromesso storico di aprire una nuova strada politica. Diciamo pure che era negativo su tutto ciò di cui discutevamo.
Complessivamente, Magri mi fece - per quel che cont a- una buona impressione. Lo rividi una mattina all’aeroporto, Orio al Serio, da cui decollammo per Roma. Facemmo quattro chiacchiere che confermarono il mio giudizio su di lui: un gentiluomo, amabile e garbato. Adesso che lui è morto nel modo che sappiamo, immagino le polemiche, le riprovazioni, le condanne. Ne faremo indigestione.
In questo nostro strambo Paese, dove i libertari si sono convertiti al bigottismo, i postcomunisti amano il puritanesimo, la destra ex fascista si apparenta con la sinistra, e il conformismo è il denominatore comune di tutti quanti, non solo non si può più andare a donne ( perdonate l’espressione volgare e antiquata: serve per capirsi al volo) ma nemmeno decidere come crepare. Vietato.Magri è stato un’eccezione, un vero ribelle che non posso nascondere di apprezzare, ammirare. Si ribellò al piattume democristiano quando la Dc era potente, si ribellò al Pci quando era al massimo del fulgore (chiunque scommetteva sul trionfo del marxismo) e, coerentemente con la sua sublime incoerenza, si è ribellato all’idea che togliersi la vita sia un sacrilegio. Ma quale sacrilegio? È una scelta. Deprecabile? Deprecate, deprecate, però non negate a una persona responsabile, lucida e consapevole il diritto di porre fine alle proprie sofferenze.
Ciò che non ho ancora detto, ma mi affretto a farlo, è che Magri era depresso. Forse lo era sempre stato (qualche sintomo del mal di vivere forse lo avevo intuito in lui), di sicuro lo era di più dal giorno in cui la moglie, Mara, fu portata via da un tumore. Come si fa a non comprendere lo stato d’animo di un uomo che in 79 anni di vita ha visto svanire ogni sogno? Il partito cattolico è scomparso, il comunismo è fallito, il capitalismo fa schifo ma è ancora qui a far danni, la moglie non c’è, la giovinezza è sfiorita da lustri, il desiderio di combattere è scemato, il futuro è un vicolo cieco e angusto: ma per quale motivo Lucio, non potendo più appoggiare la testa sul seno di Mara e sentirne il calore, avrebbe dovuto stare qui ancora, magari fissando ore e ore il soffitto della stanza? Perché avrebbe dovuto seguitare a trascorrere notti e notti insonni tentando di respingere i tetri pensieri che il cervello mette in circolo, sempre gli stessi, sempre più cupi e ossessivi? In attesa di chi e di che cosa? Del Natale? Della visita dei nipotini?Di un’altra malattia in aggiunta alla depressione che, se ti piglia, t’ammazza dentro, dopo averti strappato anche il desiderio di un caffè e di respirare l’aria fredda del mattino?
Immagino il rovello di Lucio. Vado in Svizzera a farla finita? Massì. Vado. Poi, quando sarà arrivato lì la prima volta, avrà avuto paura: non di morire, questo no, ma del protocollo da rispettare per fare il salto nel nulla liberatorio. E sarà tornato sui suoi passi.
Ma il tormento non gli avrà dato tregua. Cosicché, altro viaggio in Svizzera. E avrà recuperato la forza di bere il calice della morte, mentre i medici lo idratavano per rendere meno aspro il sorso dell’addio. Non pietà, onore a Lucio Magri.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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