C’è poco da ridere se si ride a comando. Meglio bersi un po’ di "Politically scorrect"

Sul fronte tradizionale di carta e matita, nel segno di Forattini esiste qualche nobile artigiano. Come Alessio Di Mauro, contro la sbornia e la sciatteria da social

L'intera seconda Repubblica è stata monopolizzata con un certo grado di spietatezza da una satira militante che, dopo qualche iniziale spunto raffinato e innovativo, e alcune ben riuscite parodie, si è rinsecchita in un antiberlusconismo delirante. Da un certo punto in poi, non esistevano più i potenti, le classi dirigenti, i capitani d'industria, la Chiesa, ma solo questa totalizzante presenza metafisica che albergava dalle parti di Arcore.

Se tra qualche anno uno storico serio vorrà ripercorrere quella fase per raccontarla asetticamente, dovrà per forza inerpicarsi lungo un fronte militante di cui la satira è stata molto più che un'ancella sciocca. Anzi, si scoprirà che proprio grazie ad essa, ai suoi strali moralistici e ai toni rabbiosi è stato possibile coalizzare un cattivo risentimento contro una parte consistente dell'Italia.

Si trattava di un carrozzone di santini e di falsi profeti talmente potente da indurre taluni a coniare il concetto: «partito della satira». Più banalmente, di valletti di comprovato conformismo usi a trasformare la satira, o qualunque cosa le assomigliasse, in un comitato elettorale permanente. Un filone trito e ritrito perlustrato da sbirri del pensiero con la casacca di comici, ma che avendo radicalizzato una satira messa al servizio di un fronte politico, le hanno a poco a poco fatto perdere la sua genuina e naturale capacità dissacrante. I tanti boccaloni, che mai hanno patito l'incanto di quella mistificazione e hanno creduto alla «nuova Resistenza», si sono ritrovati alla fine del tragitto a intonare in coro con Serena Dandini: «Monti è il nonno che tutti vorremmo avere».

Dinnanzi ad una linea di fuoco di tal genere, vignettisti, comici e fumettisti che, pur non schierati su posizioni dichiaratamente di destra, facevano dell'irriverenza, dell'anarchia e del loro spirito libero una peculiarità, sono stati quasi del tutto oscurati perché, essendo estranei a quell'enclave veniva loro appiccicata all'istante la livrea di zerbini. Eppure, a ripercorrere la storia del Novecento, la satira di livello eccelso è stata un «affare» quasi mai di sinistra. Quando pensiamo all'insolenza, a posizioni fortemente critiche verso le ingiustizie sociali o a battute salaci contro il potere (contro tutti i poteri!) il riferimento va a Flaiano, a Guareschi, a Longanesi, a Maccari e non ad altri.

Di recente l'attività satirica e sarcastica ha avuto un padre nobile in Giorgio Forattini, ma su quel fronte tradizionale fatto di carta e matita opera ancora qualche ottimo artigiano come Alessio Di Mauro che ora pubblica Politically scorrect (Pagine edizioni, pagg. 190), una raccolta di vignette pubblicate negli ultimi quindici anni su quotidiani e riviste e organizzate per temi. Disegno di matita e di inchiostro di china e il colore che arriva solo alla fine, perché l'idea è quella di rendere l'illusione della tridimensionalità come nella grafica d'arte: «Artisti come Bernini, Goya e Dumas - scrive Di Mauro - ma anche autori più recenti davano un grande peso al contenuto artistico della vignetta e dell'illustrazione satirica. Poi si è diffusa la narrazione che conta solo la battuta, che la grafica è superflua. E siamo arrivati alla sciatteria e alla sbornia dei social, dove la manualità e il gusto per la grafica e la caricatura non esiste proprio più».

I primi tre capitoli dedicati al recente passato. I sinistrati (dalla nascita del Pd all'abbraccio tra Letta e i Grillini), In fondo a destra (Berlusconismo, celodurismo leghista, parabola finiana e destra meloniana) e I supertecnici. L'ultimo, dal titolo Bella gender, è il punto nevralgico su cui focalizza l'attenzione nel tentativo di incrociare le malattie del nostro tempo come la cancel culture, il multiculturalismo o il gender fluid.

Di Mauro confessa infatti di inforcare gli occhiali e di modulare il segno fino alla noia non solo perché l'artigianalità richiede questo tipo di attenzione, ma anche per contrastare con zelo la nuova tendenza del conformista globale. Sarebbe inverosimile un ritorno all'antiberlusconismo, ma gli epigoni di quel vecchio fronte hanno adottato il politicamente corretto come nuova religione e stanno ripartendo con l'ennesima crociata. Tempi in cui bisogna stare attenti a non offendere la sensibilità di nessuno: «Tempi in cui i neri non possono più essere chiamati tali, però possono essere mandati a pedalare giornate intere come schiavi (senza diritti né malattie pagate) per garantire, a quelli che si indignano per la schiavitù di romana memoria, la cenetta bio che salvaguarda l'equilibrio del pianeta. Miracoli semantici del progressismo che naturalmente impattano anche sul loro terreno d'elezione: il mondo del lavoro. Pensate ai poveri elettricisti che per decenni sono stati costretti a parlare di spine e connettori nei termini sessisti di maschi e femmine.

Ebbene, questo orrore non si ripeterà mai più: oggi gli operai possono essere licenziati in blocco via mail dalle multinazionali, ma guai a mettere in discussione l'identità percepita. Persino quella di un cavo elettrico».

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