"Suonavo ai matrimoni, poi ho scoperto Miles"

Il trombettista Paolo Fresu al Carcano con una pièce su Davis. "Due band raccontano il grande musicista jazz"

"Suonavo ai matrimoni, poi ho scoperto Miles"
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I miti sono fatti perché l'immaginazione li animi, scriveva Albert Camus... È con questo spirito che Paolo Fresu, l'eclettico trombettista sardo (e discografico e direttore di festival e molte altre cose ancora) che insieme a Enrico Rava rappresenta la punta di diamante del nostro jazz nel mondo, dà vita all'ambizioso progetto «Kind Of Miles», doppio disco e spettacolo teatrale che sta girando l'Italia con grande successo e che sarà al Teatro Carcano di Milano da oggi al 10 novembre.

«Ci fermiamo alcuni giorni nelle varie città - racconta Fresu - così non c'è la frenesia del concerto mordi e fuggi, abbiamo la possibilità di conoscere luoghi usi e costumi».

È il suo terzo spettacolo teatrale.

«Il primo era dedicato all'altro dei miei miti oltre a Miles, ovvero a Chet Baker. Il secondo, Tango Macondo, era un viaggio fantastico tra Sardegna e Sudamerica tra suoni e letteratura fantastica. Il terzo è dedicato a Miles Davis ed è veramente impegnativo per me che a 63 anni l'ho scritto e ho anche provato a recitarlo pur non essendo assolutamente un attore».

Ce lo racconti.

«Ci sono le parti musicali con due band, una acustica e una elettrica per celebrare la carriera di Miles, quella elettrica a partire dagli anni Ottanta e da opere come Bitches Brew. La parte acustica è più morbida, riflette le ballate di Davis, la seconda è più colorata».

Impegnativo?

«Moltissimo. Due band ma sostanzialmente tre parti: la prima acustica piena di sapori e riflessi evocativi: la seconda elettrica e più scatenata e la terza che mette insieme i due mondi in un suono futuribile. Miles ha insegnato più di ogni altro come mescolare i generi, come meticciare le cose; è una delle cose che ho imparato di più da lui».

Miles è un mito?

«È mitico ma io non volevo raccontarlo come un mito. Infatti qui non c'è la storia della sua vita ma i momenti che hanno cambiato la musica e la storia».

Cosa altro l'ha colpita di più di Miles?

«La sua capacità di essere sempre se stesso ma sempre diverso. Una volta lo ascoltai eseguire uno standard come Autumn Leaves e non riuscii subito a riconoscerla tanto era elaborata. Infatti l'ho inserita in questa raccolta e racconto questo aneddoto».

Ha pubblicato anche il disco.

«Kind Of Miles esce anche in doppio cd e doppio in vinile. Il vinile è necessariamente più breve ma contiene quattro brani che non ci sono nel cd».

E stanno uscendo dei singoli brani?

«Abbiamo studiato delle copertine molto belle e a partire da ora fino a marzo ogni 15 giorni usciranno dei singoli per poi, a marzo appunto, ritrovare l'opera completa».

Come reagisce il pubblico?

«A Bolzano e a Torino sold out e grande entusiasmo, quando esco a firmare le copie del disco qualcuno mi dice che si è addirittura commosso».

Quali le maggiori differenze tra Chet e Miles?

«Enrambi erano lirici, poetici e molto melodici, più di qualsiasi altro. Chet era anche un grande cantante. Lui si è fermato, mentre Miles ha avuto il coraggio di continuare a spostare i confini della musica provando sempre nuove esperienze».

Fresu oggi è un big della musica, come ha cominciato?

«Nella banda del mio paese a Berchidda, in Sardegna, avevo 11 anni.

Ho fatto la gavetta suonando ovunque, agli interminabili matrimoni berchiddesi e alle feste da ballo finchè un amico, nel 1982, mi avvicinò ai dischi di jazz ed erano proprio quelli di Chet e Miles. Fu subito amore e poi nel giro di tre anni diventai insegnate ai seminari di jazz a Siena. Fui fortunato. All'epoca c'era grande bisogno di musicisti jazz».

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