Tutti sanno che cosa sono. Per esperienza. E nessuno vorrebbe trovarseli tra i piedi. Anche se, dicono i superstiziosi, calpestarli può favorire i rivolgimenti di fortuna. A maggior ragione, per toglierli di mezzo una volta per tutte, il professor Robert I. Sutton - I. starà forse per Ingegneria gestionale: la sua specialità e disciplina di insegnamento allUniversità statunitense di Standford - ci risparmia mezzi termini e mezze misure. E procede con calcolo ingegneristico e scrupolo professorale a registrare un collaudato Metodo antistronzi (Elliot, pagg. 222, euro 14, traduzione di Fabrizio Saulini). Altre formule o espressioni più soft sarebbero approssimative, sommarie e inefficaci. Perché a definirli prepotenti, maleducati, screanzati, despoti, egomaniaci, oppressivi si rischia di giustificarli e di esserne succubi. O si finisce per appellarsi alle regole del galateo e della buona creanza, ai principi del rispetto e della lealtà subdolamente vanificati proprio dalla presenza malaugurata (e maleolente) dei suddetti.
Gli stronzi, crede Sutton, vanno tanto per cominciare identificati e individuati. E, insomma, chiamati esplicitamente con il loro nome. Quando, tre anni fa, in un numero speciale della Harvard Business Review dedicato alle venti idee per leconomia del futuro il docente denunciò senza eufemismi i principali agenti dinquinamento (sic!) organico (sic!) negli ambienti di lavoro, impiegò per la prima volta in una pubblicazione accademica, per ben otto volte nel corpo del suo testo, linsostituibile tecnicismo di «asshole». E riscosse, dentro e fuori la comunità scientifica, unanime consenso e dichiarato sostegno a mettere in atto il progetto - il più naturale - di espellerli. Buona norma di igiene. Salutare provvedimento di bonifica. Provvidenziale ottimizzazione del clima lavorativo perché, più che i parenti serpenti, gli amici malevoli, i vicini pettegoli, sono i colleghi, i collaboratori, i capi ambiziosi, i subordinati invidiosi a produrre, sostiene il teorico, i danni economici più gravi. Come? Con finti sorrisi e finti complimenti. Angherie verbali e intimidazioni mute. E-mail anonime e mortificazioni pubbliche. Battutacce. Occhiatacce. Interruzioni sgarbate. Ignoranze ostentate di chi è trattato «come fosse invisibile».
Nel decalogo stilato dallingegnere in quello che, dallarticolo originario, si è sviluppato questanno in un libro e in un best seller internazionale, ci sono tutte le pose, le mire, le frecciate e i colpi bassi solitamente più difficili da segnalare e denunciare. Coglierli sul fatto o sul nascere è la prima contromossa utile a smorzarne gli effetti. Cioè offese e malesseri. Umiliazione e perdita di motivazione. Sospetto diffuso, noie legali. Distrazioni, disturbi mentali. Assenteismo, nefasta rivalità. Aumento del turn over, calo di produttività... Al limite: «lesposizione prolungata alle prepotenze tende a trasformare anche le vittime in stronzi». Che è come tradurre sub specie scatologica i proverbiali «quel che non mi uccide mi rafforza» o «se non puoi combatterli, alleati con loro».
Ma sono proprio questi i viatici che Sutton si rifiuta di dare e gli espedienti cui eviterebbe di ricorrere. Fermo restando che, stanato lo stronzo, il primo antidoto raccomandato dal prof. è quello disinfettante di fargli attorno terra bruciata, laltro consiglio spassionato - e a tutti gli effetti viscerale - fornito da Sutton è di eseguire un attento esame di coscienza. Di tradurre la massima suprema dei filosofi - «conosci te stesso» - nel più umano ed umile «liberati dello stronzo che cè in te». E di metterla in atto, con risaputo sollievo, nellhumus feriale dellufficio e nella concretezza terra terra della quotidianità. Ti sei mai detto: «io non sbaglio mai», «faccio tutto io», «io avrei fatto di meglio», «è tutto merito mio»? Ti senti mai controllato, minacciato, chiamato a concorrere, provocato a sfidare, istigato a combattere? E così via. In ben ventiquattro punti lo studioso redige lelenco dei sintomi inconfondibili dellincipiente, spiacevolissima contaminazione.
Ma, anche muovendosi su un terreno tanto sgradevolmente umido e scivoloso, Sutton non rischia di cascare e nellautolesionismo o nel buonismo più deleterio per lautostima. Nel finale, a titolo di «Lezioni chiave», indica «Come diventare uno stronzo efficace».
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