Svolta ad Annapolis: ci sarà anche la Siria

Svolta ad Annapolis: ci sarà anche la Siria

da Gerusalemme

La decisione dell’ultima ora della Siria di partecipare alla conferenza di Annapolis, negli Stati Uniti, convocata dall’amministrazione americana, ha iniettato vitalità e interesse a una riunione che tutti i pronostici davano come un inutile esercizio di relazioni pubbliche.
Perché Damasco, dopo avere preso una posizione ostile alla conferenza abbia cambiato idea, è dovuto, si direbbe, a tre fattori: 1)paura di restare isolata, 2)probabile promessa americana che contrariamente ai desideri israeliani la questione del Golan verrà discussa, 3)volontà di non tirare troppo la corda con gli Usa, soprattutto dopo la distruzione, da parte di Israele, di una misteriosa (secondo i siriani inesistente) base nucleare sul suo territorio. L’adesione della Siria potrebbe mettere in moto una dinamica negoziale con Israele per la restituzione delle alture del Golan, occupate da Israele nella guerra dei 1967.
È un problema su cui le posizioni di Gerusalemme e di Damasco sono più vicine che di quelle coi palestinesi perché un accordo territoriale con la Siria colpirebbe l’alleanza ideologica e militare fra Iran e Hezbollah che ha provocato la seconda guerra del Libano. Questa dinamica potrebbe coinvolgere anche l’Arabia Saudita che ha fatto due importanti concessioni a Washington: partecipare alla conferenza e inviare un personaggio di peso come il ministro degli Esteri, principe Saud al Feisal, pur dichiarando alla stampa che gli israeliani non debbono aspettarsi che stringerà loro la mano
La partecipazione della Siria e dell’Arabia Saudita a una riunione denunciata come un tradimento della causa araba e islamica non solo dall’Iran, ma anche dal Parlamento di un Paese «moderato» come il Bahrein, è certo un successo di cui Washington aveva bisogno. Lo dimostra l’irata reazione di Hamas che terrà oggi a Gaza una manifestazione di protesta contro la conferenza, negando al presidente palestinese Abu Mazen il diritto di negoziare in nome del popolo palestinese. Una riunione simile avrà luogo a Damasco guidata dal «ministro degli Esteri» dell’Olp, Faruk Kaddumi, mentre la Jihad islamica ha messo in stato di allarme Israele col tiro di missili da Gaza e il tentativo di infiltrare «kamikaze» nel territorio ebraico (nella serata di ieri le autorità avevano revocato lo stato d’allarme ripristinandolo però poco dopo per tre giorni) promettendo di intensificare i suoi attacchi durante e dopo la conferenza di Annapolis.
La lista degli incontri bilaterali fra i dirigenti israeliani - il premier Ehud Olmert, il ministro della Difesa Ehud Barak e quello degli Esteri Tzipi Livni - con il presidente Usa George W. Bush, col vicepresidente Dick Cheney e col segretario alla difesa Robert Gates è del resto impressionante. Inizia oggi alla Casa Bianca alle ore 10.50 con un incontro bilaterale fra Bush, Olmert e la Livni; continuerà con quello fra Olmert e Cheney alle due del pomeriggio, si estenderà in serata con due incontri fra Barak e Cheney e Cheney e la Livni. Tutto questo alla Casa Bianca mentre domani ad Annapolis ci sarà un incontro trilaterale fra Bush, Olmert e Abu Mazen, seguito mercoledì da un altro incontro fra Bush e Olmert.
Questo «rullo compressore» americano preoccupa la destra israeliana e il movimento dei coloni. Temono che Bush si rimangi le promesse fatte a Sharon nella famosa lettera del 14 aprile 2004 che tanto avevano irritato gli arabi. In essa il presidente americano accettava la posizione di Gerusalemme, seconda la quale Israele non doveva ritornare alle frontiere del 1967 a seguito di un accordo finale coi palestinesi.
Tuttavia è chiaro che Israele non può assumersi la responsabilità di far fallire una conferenza nella quale Bush e la Rice hanno impegnato tutto il loro peso politico e prestigio. Per cui nonostante i pessimistici pronostici arabi e israeliani non è detto che, una volta di più, «la montagna degli sforzi diplomatici americani partorisca un topo».

Il che sarebbe imbarazzante per Washington anche nei confronti dei molti Paesi che hanno accettato di partecipare alla conferenza - dalla Cina all’Irak, dal Vaticano al Sud Africa, dalla Turchia al Canada per non parlare dei maggiori Paesi europei.

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