La svolta di Aldo Moro: i governi di centrosinistra

di Durante la presidenza Gronchi era nata una corrente antagonista ai fanfaniani, chiamata dorotea e composta da uomini cresciuti all'ombra dell'ex segretario: Emilio Colombo, Paolo Emilio Taviani, Mariano Rumor. Appoggiati dalla destra e dagli esponenti più prudenti della sinistra, i dorotei vinsero e venne eletto un nuovo segretario, Aldo Moro. Docente di diritto, colto, intelligente, abilissimo nell'arte italiana di dire e non dire, Moro rappresentava il massimo della capacità di mediazione democristiana. L'atto di nascita del centrosinistra può essere considerato il discorso - micidiale per fumosità e lunghezza (cinque ore) - che Moro tenne al congresso democristiano del gennaio 1962, ma fu durante la brevissima presidenza di Antonio Segni che nacque il centrosinistra. Aldo Moro si impegnò per convincere tutte le correnti della Dc che era arrivata l'ora di aprire ai socialisti, e ci riuscì nei suoi primi tre governi (1963-1964, '64-'66, '66-'68). Moro fallì lo scopo di compiere grandi riforme, mentre riuscì a impedire il riavvicinamento fra Psi e Pci. Le riforme avrebbero dovuto portare a un modello di società diverso dal capitalismo americano, che non piaceva anche a molti democristiani, ma potevano essere realizzate solo con una volontà «rivoluzionaria»: si preferirono invece le cosiddette riforme «correttive», più consone alla tradizione moderata del socialismo italiano e del conservatorismo cattolico. Il capo socialista Pietro Nenni le intendeva come prologo necessario a quelle strutturali, mentre per la maggioranza democristiana erano un miglioramento-mantenimento dello statu quo.
L'unico risultato notevole del centrosinistra fu la riforma scolastica. L'intero sistema risaliva al regime fascista e la scuola obbligatoria terminava ancora con le elementari. Poi chi voleva arrivare all'università frequentava la scuola media e il liceo; tutti gli altri studiavano all'«avviamento professionale», una sorta di scuola media di seconda categoria che formava gli italiani destinati a prendere ordini. Era un sistema che rifletteva fortemente la struttura gerarchica del fascismo, l'arcaica Italia contadina e artigiana, la difficoltà per i più poveri a innalzare il proprio livello sociale. Alla fine del 1962 il cambiamento fu grande: la scuola media veniva unificata e resa obbligatoria per tutti, il numero di studenti crebbe e per la prima volta anche molte ragazze andarono oltre le elementari. Le novità, come al solito, spaventarono molti. Sollevò scandalo e preoccupazione, per esempio, la decisione di rendere l'insegnamento del latino facoltativo nella nuova scuola media, mentre si continuò colpevolmente a sottovalutare la formazione tecnologia, scientifica e linguistica.
La riforma scolastica, comunque, fu sostanzialmente positiva, ma le innovazioni che portò non potevano piacere alla maggioranza degli italiani, che si era formata sull'idea di famiglia e di rapporti sociali propagandati prima dal fascismo e poi dalla Dc. A moltissimi, per esempio, sembrava che l'aumento della scolarizzazione e il numero crescente di donne diplomate avrebbero portato presto allo sconvolgimento della tradizione. Non era un'idea peregrina, il fenomeno era comune a tutti i paesi occidentali in cui si stava sviluppando il capitalismo, ma se gli italiani apprezzavano il benessere del progresso, ne rifiutavano gli aspetti in contrasto con le loro abitudini. L'effetto si manifestò puntuale nelle elezioni del 28 aprile 1963: per la prima volta la Dc scendeva sotto il 40 per cento ottenendo il 38,3; il Pci aveva il 25,3; il Psi il 13,8; il Pli il 7; il Msi il 5,1.

Per tutta risposta, il centrosinistra cercò di rilanciare i vizi italiani più utili al potere, primi fra tutti il clientelismo e l'iperburocratizzazione dello Stato, due fenomeni legati fra loro che danneggiarono anche quel poco di riformismo che i governi sarebbero riusciti a produrre.
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