Delle due elezioni di metà ottobre, già la prima - il referendum sul Welfare - ha sancito con l'annuncio dell'astensione di Rifondazione nella prossima riunione del Consiglio dei ministri la fine dell'Unione, intesa come alleanza politica tra le due sinistre. Se non ci saranno nel frattempo altre sorprese, la seconda scossa di terremoto è annunciata per domenica, con l'elezione diretta del segretario, cioè di Veltroni, e dei dirigenti del nascente Pd. Lunedì mattina l'esperienza del governo Prodi sarà, sotto ogni punto di vista, un cumulo di macerie. Naturalmente lo si sa da tempo, non è questa la novità.
La novità è un'altra. Queste macerie cominciano a sommergere anche la «nuova stagione» veltroniana. Da lunedì non ci saranno più alibi, non basteranno più i colpi d'immagine e le enunciazioni di principio che finora hanno dato l'illusione di rendere un po' più lieve il pesantissimo fardello di un anno e mezzo di governo. Una leadership, frutto di un'investitura diretta, avrà bisogno di scelte chiare per entrare davvero in funzione, affermarsi ed essere credibile. E il dubbio è che il sindaco di Roma - che aspira ad essere il ricostruttore dell'Italia - non sappia bene cosa fare e viva nell'incertezza.
Stanno infatti svanendo, e molto più rapidamente di quanto fosse possibile prevedere, i vantaggi di una diarchia, con un capro espiatorio su cui scaricare tutto (cioè Prodi) liberando da ogni responsabilità l'uomo della provvidenza, il protagonista di un radioso futuro. Sta venendo per Veltroni il momento di scelte concrete che peseranno, perché dovranno tradursi non in generiche prese di posizione, ma in atti parlamentari. In decisioni di voto. A cominciare da quelle che seguiranno al confuso e polemico epilogo del referendum sindacale sul protocollo del Welfare.
Sembra un paradosso, ma al Pd prima ancora di nascere formalmente si pone il problema di sopravvivere. Ma - questa è la domanda - come riuscirci senza sciogliere i grandi dilemmi, che non sono il numero dei ministri o l'enunciazione un po' minacciosa sulla possibilità futura di correre da soli. E il primo dilemma è che fare di un governo che ogni giorno che passa fa perdere consensi. Il secondo è se «mi si nota di più» se si voterà nella primavera del 2008 o si cercherà ancora di resistere. E poi come resistere. Il terzo è quello di tracciare una linea di demarcazione visibile alla pubblica opinione con la sinistra antagonista. Il quarto è la possibilità di una conveniente riforma elettorale, che però al momento sembra un traguardo irrealistico. E l'elenco è ancora lungo, perché riguarda tutti i nodi della grande confusione di questi mesi.
Il fattore tempo, che sembrava favorire Veltroni, diventa sempre più un handicap, mentre la sua alleanza di riferimento si trasforma in un pantano. Così il Pd può ridursi solo a sperare che siano altri a risolvere i suoi problemi. Che sia la sinistra antagonista ad attuare lo strappo o che a compiere atti di rottura siano i frammenti moderati.
Renzo Foa
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