La svolta sul delitto dell’Olgiata: in manette il domestico filippino

Winston Manuel Reves, 41 anni, prestava servizio nella villa in cui fu strangolata la contessa Alberica Filo Della Torre. Sarebbe stato incastrato dal Dna ritrovato su uno degli oggetti presenti sul luogo dell’omicidio

La svolta sul delitto dell’Olgiata:  
in manette il domestico filippino

Roma Arriva 20 anni dopo uno dei delitti più misteriosi della capitale, un «cold case» che si credeva ormai senza soluzione, il primo fermo per la morte della contessa Alberica Filo Della Torre, uccisa il 10 luglio del ’91 nella sua lussuosa villa dell’Olgiata, un quartiere residenziale a nord di Roma. L’ex domestico filippino Winston Manuel Reves, 41 anni, all’epoca uno dei primi sospettati, è stato sottoposto ieri a provvedimento di fermo su ordine del procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani e del pm Maria Francesca Loy.
I carabinieri del reparto operativo lo hanno bloccato mentre era in procinto di darsi alla fuga. Sapeva che gli inquirenti gli stavano col fiato sul collo dopo che nel 2007 il costruttore Pietro Mattei, marito della vittima, aveva chiesto la riapertura delle indagini nella convinzione che le nuove tecniche di laboratorio, più moderne e sofisticate di quanto non fossero allora, potessero portare ad una nuova lettura della scena del crimine, come è accaduto recentemente con il delitto di via Poma. Previsione esatta, a quanto pare.

È stato proprio il dna, infatti, ad incastrare il filippino. Il suo codice genetico sarebbe risultato compatibile con quello prelevato su un fazzoletto di carta sporco di muco repertato, assieme ad altri oggetti, nella camera da letto dove la nobildonna venne massacrata con un oggetto pesante, probabilmente uno zoccolo, mentre nella villa fervevano i preparativi del ricevimento che si sarebbe dovuto tenere in serata per il suo decimo anniversario di nozze.
La casa è piena di gente, ci sono quattro operai, due domestici, i due figli piccoli della coppia, la baby sitter. Ma nessuno si accorge di nulla. La prima pista seguita, quella del delitto passionale, non porta a nulla. I sospetti sfiorano tutti i presenti nella villa, l’omicidio di Alberica Filo Della Torre si rivela subito un vero rompicampo.

Fino a quando nel registro degli indagati finiscono come principali sospettati Roberto Iacono, figlio della ex governante di casa Mattei, e il domestico filippino Winston Manuel Reves: sui loro indumenti vengono trovate tracce di sangue. Ma l’analisi del dna, all’epoca, dà esito negativo. Passano due anni, le indagini non portano a nulla. Nell’ottobre del 1993 il giallo si infittisce. Si scopre, infatti, che uno dei più assidui frequentatori della villa e grande amico della contessa, è Michele Finocchi, in quegli anni capo di Gabinetto del Sisde. La mattina del delitto è lui tra i primi ad arrivare all’Olgiata, forse ancor prima del magistrato. Il pm dell’epoca, Cesare Martellino, cercando di approfondire la natura della relazione tra lo 007 e casa Mattei, scopre che Alberica e suo marito dispongono di conti bancari all’estero con cifre miliardarie. Fioccano le ipotesi più disparate, l’indagine sembra intrecciarsi con la vicenda dei fondi neri del Sisde. Ma finisce tutto in una bolla di sapone e nel giugno del 2005 la Procura di Roma, dopo 14 anni, chiede l’archiviazione del fascicolo.

Chi ha la coscienza sporca tira un respiro di sollievo. Ma il 6 marzo del 2007, su sollecitazione dell’avvocato Nino Marazzita, che assiste Pietro Mattei, i magistrati tornano all’attacco, nella speranza che le nuove tecnologie possano portare a risultati diversi. Viene isolato un dna maschile su un fazzoletto di carta con del muco trovato nella camera da letto della contessa. I primi esami, però, effettuati dai consulenti della Procura Paolo Arbarello, Carla Vecchiotti e Vincenzo Pascali, escludono che il codice genetico riscontrato possa essere riconducibile a quello di Iacono e di Winston, che nel frattempo sono stati riscritti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario.

I nuovi esami del Ris dei carabinieri danno esito diverso.

E forse questa stranezza, assieme alla verifica delle modalità con cui i reperti sono stati conservati in tutti questi anni, potranno costituire un valido appiglio per la difesa in un eventuale processo. Molto soddisfatto, naturalmente, l’avvocato Marazzita: ««Abbiamo fatto bene a chiedere nuove analisi del dna sui reperti, quelli svolti in passato non erano stati fatti in modo adeguato».

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