Taglio dell’Irap e ammortizzatori: ecco la bozza del «piano Welfare»

OBIETTIVO SVILUPPO Il premier ha chiesto ai ministri «pesanti» le ricette per rilanciare il Paese. Già pronte diverse soluzioni

Roma - I soldi sono pochi, i cordoni della borsa sono stretti, il ministro dell’Economia è parsimonioso e ha un carattere che si impenna facilmente, soprattutto se qualche collega si mette a sindacare o piange miseria. La situazione è questa. Lo sanno tutti e meno male che l’Ocse dice che il motore Italia, alla faccia di corvi e apocalittici, va meglio del previsto. Sbuffa, bestemmia, è zeppo di ferraglia inutile, ma in salita ha dimostrato che non è un brocco. È da qui che può partire la «fase 2» del rilancio, quella che serve a non far pesare i costi della crisi su chi sta in basso, sui precari, sulle famiglie, su chi ogni giorno fa i conti per arrivare a fine mese. Berlusconi ha chiesto ai ministri con il portafoglio di fargli capire come si stanno muovendo su questo terreno: resoconti, paracaduti e idee per il futuro.

Il risultato è che in tanti si sono messi al lavoro, sono spuntati «papielli» qua e là di politica economica, il più famoso è quello sul taglio delle tasse, che tanto aveva fatto imbestialire Tremonti, con quella mezza idea di dimissioni e tanta maretta. Qualcuno di questi «papielli», dopo un periodo di clandestinità, è emerso come progetto di legge. È quello di Giuliano Cazzola e Benedetto Della Vedova sulla previdenza, che prevede incentivi progressivi per chi va in pensione tra i 62 e i 68 anni. Insomma, più tardi vai, più guadagni. Una serie di consulenti, professori, economisti, sparsi in vari gruppi, ha messo sul tavolo della maggioranza cartelle e cartelle di fogli dattiloscritti. E qualcosa si è mosso. Tremonti ha accettato la tregua e qualche piccolo compromesso. Il centro di tutto questo è la riforma del Welfare, che comincia a trovare un suo disegno. La legge Biagi è stata utile, ma non è intoccabile. La flessibilità senza ammortizzatori sociali è dura. Quando cadi ti fai male.

Il primo passo è il taglietto dell’Irap da 1,5 miliardi, destinato alle piccole imprese in perdita. Sacconi fa sapere che entro l’anno si può varare un pacchetto lavoro. E i soldi? Il ministro dice: «Le risorse ci sono. Bastano. Sono sufficienti». L’idea è quella di proteggere il reddito di chi è costretto all’inattività. Come? Prolungare la cassa integrazione e poi contratti di indennità e solidarietà una tantum per i collaboratori a progetto. Molti diranno che tutto questo non basta. Il problema è che bisogna muoversi con cautela. Non si può promettere quello che in cassa non c’è. Qualcuno dice che non si può neppure tirare troppo la corda con Tremonti, che al di là di tutto non gradisce questo attivismo un po’ «spontaneista» sulla politica economica. E va bene, ma sugli ammortizzatori sociali qualche progetto pesante, di quelli che segnano un passaggio storico, sul tavolo di Sacconi è arrivato.

Il ministro del Welfare si è letto tutto un «papiello» su una sorta di cassa integrazione per i lavoratori atipici. È un po’ come accade con la casta dei giornalisti. Se hai un contratto a termine e lavori, per fare un esempio, sei mesi ti spettano sei mesi di indennità. È un paracadute vero, che non ti mette al riparo tutta la vita, ma ti offre un po’ di respiro. È più facile guardarsi in giro se non stai con l’acqua alla gola. Questa idea affascina chiaramente i liberali del Pdl e preoccupa chi elogia il posto fisso. Si farà? Vedremo.

Di certo ci sono i 40 milioni di euro per le pari opportunità. Sacconi e la Carfagna hanno lanciato il progetto «tagesmutter», la cooperativa di baby sitter condominiali. La possibilità di aprire micro asili, massimo cinque bambini, a casa di qualche mamma un po’ più libera. È quello che succedeva nei paesi tempo fa, quando le donne che lavoravano lasciavano i figli alla vicina di casa. E per fidarsi di baby sitter e badanti vengono istituiti albi professionali in ogni comune. È una sorta di certificato di «serietà».

Il governo ha capito che il welfare è una battaglia che vale la pena combattere. È una di quelle riforme che cambia davvero la vita delle persone e poi è il grande problema esistenziale di questo secolo. È il modo per uscire da quell’orizzonte precario, che lascia vecchi e giovani in balìa dell’incertezza. Il vecchio Stato sociale andava bene per il Novecento e per i pochi imprevisti del posto fisso. Questi tempi hanno bisogno di un welfare flessibile, che rinunci alla presunzione di garantire tutti dalla culla alla tomba, ma ci sia per chi davvero sta senza soldi, salute e fortuna. Il problema sono sempre i soldi.

Uno dei «papielli» ancora clandestini, di incerta paternità, racconta un piano di emersione del lavoro nero, soprattutto al Sud, con il «recupero» di 2-3 milioni di posti di lavoro. Il modello è quello delle regolarizzazioni di colf e badanti. È da questo «nero» che dovrebbero arrivare un po’ di soldi per riformare la legge Biagi. Ma i «papielli» non sono legge.

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