Tavolo con vista mozzafiato: Milano dà più gusto al Duomo

Tavolo con vista mozzafiato: Milano dà più gusto al Duomo

Se Milano è la nuova grande capitale del gusto - la foodie destination del momento - allora piazza Duomo sta per diventare il luogo più esclusivo dell'effervescente movimento gourmet meneghino. Aperture e chef stellati, progetti ambiziosi, riorganizzazioni, speranze e sogni di gloria nella piazza e anche in Galleria Vittorio Emanuele, profumo di stelle Michelin e un vista da cartolina. Può sembrare una banalità e invece non lo è affatto, perché provate a ricordare se qualche anno addietro avete mai cenato in un ambiente raffinato e sorseggiato una coppa di champagne guardando la Madonnina: la risposta è no. I primi ad aver aperto la strada sono stati Tiziana e Marco Monti, già patron di Giacomo e del bistrot che porta lo stesso nome: sono loro ad accogliere i milanesi ed i turisti all'Arengario, al terzo piano del palazzo littorio che ospita il Museo del Novecento. Non si accettano scommesse, dal terrazzo si ammira la cartolina più autentica della città, tocchi le guglie del Duomo. Ci si veniva per lo spettacolo visivo, per un emozionante polaroid in movimento, per un aperitivo (il bar si ispira al decò americano) oppure un evento, ora le emozioni sono garantite anche a pranzo e cena, perché tutto sta cambiando in cucina e in sala. Dai primi di giugno c'è un nuovo direttore, Luca Pedinotti, 37enne da sempre nel mondo della ristorazione, all'apice della carriera ed entusiasta della sua nuova mission, far sognare ed innamorare i clienti occasionali e gli habitué. Sa come muoversi nel mondo che conta, sa essere felpato e deciso, sicuramente migliorerà l'organizzazione perché prima c'era un sovraposizionamento degli arrivi: ora si studia la possibilità di una cena a due turni (comunque è aperto dalle 12 alle 24).
Di fronte all'Arengario, dall'altra parte della piazza, aprirà il nuovo ristorante della Town House Duomo (30-40 posti), l'unico albergo sette stelle in Italia: in cucina Alberto Citterio, milanese doc e cittadino del mondo, visto che prima di proporre squisitezze in Galleria (si entrerà dal numero civico 21) aveva lavorato a Il Carpaccio di Parigi e all'Harry's Bar di Londra per poi arrivare a La Sireneuse di Positano. Grande amante della cucina asiatica, delizierà con piatti di forte impronta mediterranea e anche con il suo signature dish, cubo di foie gras caramellato con pistacchi di Bronte e tartufo nero umbro, così come il carpaccio di gamberi rossi di Sicilia. Piccola aggiunta: la cantina avrà più di 6.000 etichette.
Nel cuore della galleria, il Savini vanta un nobile passato ma alla nuova proprietà interessa costruire un grande futuro: il fascino senza tempo del luogo, il tavolo dove amava sedersi Maria Callas dopo la Scala, i quadri di Filippo Tommaso Marinetti, i fasti di una volta rimarranno per sempre nella storia della città e del posto, ma vivere di ricordi è alquanto pericoloso se non addirittura deleterio per un businessman ambizioso come Sebastiano Gatto, bocconiano con l'ossessione dell'eccellenza. Ha creato un team giovane, con una gran fame di affermarsi: il general manager Marco Tridente e soprattutto lo chef Giovanni Bon, 33enne cresciuto nelle cucine di Sadler («ho imparato rispettare le materie prime») e Cracco («qui ho forgiato il carattere e ho appreso la disciplina»), prima di prendere il volo a Parigi per lavorare accanto ad Alain Ducasse allo Spoon.
La sua grande sfida è di creare il matrimonio perfetto fra i fasti di una volta e i piatti moderni: «Mi piace stupire, chiamerei la mia cucina emozionale, di estro momentaneo, impostata sulla riscoperta dei sapori, partendo dalle materie prime di eccezionale qualità», racconta entusiasta.

Difatti dimostra una personalità marcata che gli permette di spaziare dalla zuppetta di melone di Cantalupo ai paccheri freddi con tartare di tonno rosso, dalla crema di pecorino con guanciale stufato al piccione in crepinette con la composta di pomodoro per poi stupirti con un piatto meneghino doc, il risotto alla milanese con brodo di pistilli. Perché, non dobbiamo dimenticarlo, siamo sempre a Milano.

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