Al Teatro Carcano fino al 20 febbraio c'è Molière con il "Malato Immaginario"

Un alone di sacralità teatrale avvolge avvolge il famoso testo di Molière, “Il malato immaginario” con il quale si sono misurati da Giorgio De Lullo, a Romolo Valli, da Ruth Shammah a Franco Parenti fino a Jacques Lassalle e Giulio Bosetti. Questa volta a portarlo in scena sono Paolo Banacelli, nelle vesti del Malato, Giovanna Rossi, bellina, seconda moglie di Argante innamorata di Gaia Insenga, Xenia Bevitori, nelle vesti di Luigina, figlia minore di Argante e sorella di Angelica, Carlo Simoni, Beraldo, fratello di Argante, Massimo Nicolini, Cleante innamorato di Angelica e poi ancora il dottor Diarroicus, il medico del “malato immaginario”,Libero sansa vini e suo figlio Fabrizio Martorelli, innamorato di Angelica, Roberto Tesconi, Dottor Purgon, medico di Argante, il Dottor Purgon, medico di Argante, il signor Olenti, farmacista, Maurizio Ranieri e il signor Buonafede, notaio di Riccardo Zini e la simpatica cameriera Tonina, Patrizia MIlani. Fino 20 di febbraio al Teatro Carcano di Milano il Teatro Stabile di Milano porterà in scena l’ultima commedia scritta dal commediografo francese di straordinaria ricchezza di contenuto, umorismo e lezioni di vita, pillole di saggezza.. Il testo rivela una straordinaria ricchezza in quanto si tratta di una farsa colma di spunti comici da cui trapela una visione del mondo disillusa e disincantata di una Molière che aveva smarrito al termine della sua esistenza, la fiducia nei suoi simili ma anche in se stesso. Padre di una bella figlia, il malato immaginario, marito in seconde nozze di una donna interessata, fedifraga e avida di denari, è ossessionato di essere malato e la sua esistenza ruota intorno a salassi, purghe, visite e medicine di medici cialtroni, per la maggior parte cialatani e avvoltoi, come del resto lo mette in guardia il fratello che non si limita a parlargli della sua salute, ma tenta anche di aprirgli gli occhi sulla sua bella moglie molto più giovane di lui che avrebbe un sogno, quello di mettere in convento le due figlie. Molère riuscì a cucire su di se in maniera magistrale, purtroppo solo per quattro recite, poco prima di morire il 17 febbario 1673, un venerdì, fatidico per le superstizioni nell’ambiente artistico e non solo; ma il pregio di questo nuovo “malato immaginario”approfondisce il carattere duplice della commedia, in cui la costruzione comica di una esilarante farsa, è imperniata di riflessioni amare sulla condizione umana snodando i tre atti fino a dispiegare un alone ironico. Il ritmo è veloce, a volte forsennato, tra intrighi, beffe, giochi, risi, realtà e finzione, ma anche meglio ancora tra finzione e finzione della realtà, che non è altro che l’amara filosofia di tutto il suo teatro. La traduzione di Dallagiacoma, le scene in stile minimalista ma con mobili d’epoca e i bei costumi di Rooberto Banci messi in evidenza dalle luci di Giovancosimo De Vittorio, sono stata vincenti grazie alla bravura del regista Marco Bernardi. L’incomunicabilità è anche un altro tema che compare nella commedia. “Fra i suoi capolavori è quello che ai nostri occhi appare più confuso da un alone sacro” e su queste parole Molière si spense tra sogni di un malato e la satirica forzesca del vivere. Ci trovaimo davanti a un testamento morale dell’autore. Argan è un finto malato, Moliere è un malato vero.

La malinconia ha radici profonde nella sua spietata lucidità Nella nostra epoca di nevrastenici che credono ciecamente nella scienza ce ne sono parecchi: antibiotici, vitamine, tranquillanti sono all’ordine del giorno, Argan è un nostro contemporaneo calato in un nuovo realismo esistenziale che non ci separa da Molière.

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