Gli effetti globali della crisi dei chip su industria e consumi

Modem, Pc, telefonini, auto: la carenza di chip travolge diversi settori industriali. Ecco cosa c'è dietro il chipageddon

Gli effetti globali della crisi dei chip su industria e consumi

Il lungo e stretto collo di bottiglia in cui è rimasto intrappolato il mercato globale dei chip e dei semiconduttori sta profondamente condizionando le prospettive industriali di diversi settori di rilevanza strategica. I ritardi segnalati dalla Sony nella garanzia sulle forniture degli stock delle nuove PlayStation 5 che stanno mandando in fibrillazione gli appassionati di videogiochi di tutto il mondo hanno aggiunto una coloritura "pop" a quella che è una delle più importanti questioni geoeconomiche e strategiche dell'anno in corso.

Il mondo ha fame di chip

La sottovalutazione da parte di numerosi operatori su scala globale delle prospettive di domanda per l'era Covid, la frenata di diverse foundries in giro per il mondo e la ripresa del settore auto negli ultimi mesi del 2020, che hanno aggiunto nuova carne al fuoco sul fronte della domanda già galvanizzata dall'industria tecnologica, e l'emersione dei limiti della catena di approvvigionamento concentrata in poche industrie chiave hanno creato un ingolfamento che si è ripercosso a cascata su diverse industrie ad alto valore aggiunto. La durissima ondata di gelo e le tempeste che hanno colpito il Texas a febbraio hanno contribuito ad aggravare la situazione, privando temporaneamente il mercato dei chip di parte della fondamentale produzione statunitense.

Nella stampa anglosassone il fenomeno è stato già denominato chipageddon, termine che dà la misura di uno dei più grandi esempi di dimostrazione dei limiti e delle fragilità intrinseche nelle catene del valore globale di settori fondamentali per l'economia odierna. E su molti beni di consumo ben più rilevanti della PlayStation 5 l'impatto sarà decisamente notevole.

Guai per l'elettronica a corto di chip

I produttori di elettronica di consumo dovranno fare attenzione nel programmare i lanci di nuovi modelli e rischiano di vedere a un momento all'altro un freno considerevole negli afflussi dei loro beni sul mercato. In Australia una carenza di modem ha costretto a febbraio la National Broadband Network (Nbn) a sospendere fino a fine maggio la connessione via banda larga di nuovi utenti; sul fronte della telefonia Apple, divenuta nei mesi scorsi la prima compagnia valutata in borsa 2 trilioni di dollari e che con 58 miliardi di dollari di acquisti è la prima acquirente al mondo di chip e semiconduttori, ha rimandato ai prossimi mesi, probabilmente al 2022, lo sbarco sul mercato dell'IPhone 12, tra i prodotti più attesi di sempre del gruppo di Cupertino vista la prossima svolta sulla connettività 5G.

E ancor più clamoroso è il caso di Samsung che, come ricorda il Guardian, è non solo la seconda maggior consumatrice di chip tra le aziende del pianeta (ne utilizza per un valore complessivo di 36 miliardi di dollari l'anno) ma anche una produttrice industriale di primaria grandezza, dato che il giro d'affari legato alla fornitura di chip a terze parti del colosso sudcoreano è pari a 56 miliardi di dollari. Ebbene, anche Samsung ha dovuto rimandare l'entrata in linea del Galaxy Note e ridimensioanre anche la campagna di lancio del Galaxy S21. L'azienda taiwanese TrendForce ha previsto che l'impatto della crisi dei semiconduttori, a cui si aggiunge la sfida tra Cina e Usa per il controllo della catena del valore dei chip, potrebbe ridurre del 5% la produzione globale di smartphone nel secondo trimestre del 2021. E subiranno rallentamenti anche i progetti sull'automatizzazione, la domotica e le smart cities del gruppo sudcoreano.

Dopo un'esplosione della domanda nel 2020, anche la produzione di personal computer e notebook si trova in difficoltà, soprattutto per la limitata disponibilità di chip audio e lan prodotti da aziende come la Realtek, che ha annunciato di aver previsto consegne dilazionate anche di 32 settimane (oltre sei mesi) per i suoi componenti.

Il danno miliardario per l'automotive

Questi numeri sono resi ancora più impietosi dal previsto disastro a cui pare destinata ad andare incontro l'industria dell'auto, già duramente colpita dalla pandemia nel 2020. Dan Hearsch, managing director della società di consulenza newyorkese AlixPartners, ha ricordato alla Cnbc che per la sua società il danno globale al settore automotive nel 2021 potrebbe misurarsi in 60 miliardi di dollari di contrazione nei ricavi delle società del settore. General Motors prevede un calo dei guadagni da 1,5 a 2 miliardi di dollari, Ford lo stima tra 1 e 2,5 miliardi, le giapponesi Nissan e Honda hanno dichiarato di aver venduto 250mila auto in meno del previsto a marzo, complice un incendio a un impianto della produttrice nipponica di chip Renesas. L'elevata complessità della catena del valore del settore auto e l'altrettanto elevata sofisticatezza dei chip utilizzati nel settore rendono estremamente rigida di fronte a ogni shock l'evoluzione del settore, esposto a una nuova buriana dopo l'era dei lockdown.

Ad acuire questi scenari si aggiunge un'incertezza sistemica sulle prospettive di uscita da questa fase di perenne collo di bottiglia e di profonda depressione dell'offerta rispetto alla domanda.

I piani sulle nuove catene del valore posti in essere dall'Europa e dagli Stati Uniti, per quanto destinati a mobilitare investimenti miliardari, necessiteranno di mesi per essere messi in pratica e, nel frattempo, la crisi di sottoproduzione e di eccesso di domanda per chip e semiconduttori non cesserà di farsi meno mordente per le industrie. Col rischio che il peso maggiore vada a scaricarsi sui consumatori finali di tutto il mondo.

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