Una domanda che ci siamo posti un po' tutti: gli assistenti vocali - come quello di Google, Alexa o Siri - ci spiano? A molti è successo di chiedersi se quelle pubblicità mostrate da siti e social network altro non siano, in realtà, il frutto di registrazioni mai consentite, di qualche orecchio digitale sempre all'ascolto presente nelle nostre case e nelle nostre tasche. Un esempio concreto: è mai accaduto di parlare con un familiare o con un amico di un prodotto specifico, per poi vederlo spuntare con sorpresa su Facebook?
Il timore è legittimo
Per farla breve, la risposta è no. Non si è oggi in possesso di prove concrete che dimostrino una certa invadenza degli assistenti vocali alle nostre conversazioni. Sappiamo invece che dietro a ogni inserzione pubblicitaria incontrata navigando online c'è un sistema molto complesso fatto da cookie, metodi di tracciamento - a dire il vero non sempre trasparenti - affiliazioni tra le varie piattaforme e soprattutto algoritmi. Questi ultimi sono stati sviluppati e perfezionati nel tempo da chi opera nel mondo dell'advertising per arrivare a prevedere - e talvolta anticipare - i desideri degli utenti, trasformandoli così in potenziali clienti e tentandoli con offerte allineate ai loro gusti personali.
I protagonisti di questo mercato sono comunque a conoscenza del timore, più che giustificato e legittimo considerando come alcuni dei prodotti in questione siano profondamente integrati nelle nostre case, nelle nostre vite e di conseguenza nelle nostre sfere private.
Google (che si occupa dell'assistente omonimo) e Amazon (Alexa) hanno ad esempio implementato un pulsante On-Off su dispositivi come smart speaker e smart display, permettendo di disattivare in modo fisico il microfono o la videocamera, così che non possano sentire né vedere quanto accade nell'ambiente. Lo stesso non si può dire per Apple (Siri) che invece sulla linea HomePod consente di farlo solo tramite software.
Microfoni sempre all'ascolto: il motivo
Tornando dunque alla domanda iniziale: gli assistenti vocali ci spiano? No, ma in qualche modo ci ascoltano di continuo. Il perché è legato a una funzionalità chiamata "wake word” che si occupa di riconoscere quel comando specifico pronunciato dall'utente al fine di attivarli: "Ok Google", "Alexa" o "Ehi Siri", per fare alcuni esempi. Per consentire un'interazione basata esclusivamente sulla voce, i microfoni sono dunque sempre aperti, ma le policy stabilite dai produttori garantiscono essere questa l'unica finalità.
Tuttavia, a metà 2019 alcuni report hanno portato alla luce come le più grandi aziende di questo fiorente settore abbiano per lungo tempo acquisito e condiviso con terzi i comandi vocali, in forma anonima, ma in assenza di una esplicita autorizzazione, con l'obiettivo di sottoporli a una trascrizione manuale e migliorare così i software delegati al riconoscimento vocale. Il caso ha interessato un po' tutti. Il clamore suscitato ha portato i diretti interessati a scusarsi e a implementare nuove regole, più rispettose della privacy.
Le aziende oggi dichiarano di non origliare le conversazioni degli utenti e nel tempo hanno introdotto nuovi controlli per consentire, nel caso lo si desideri, di pulire la cronologia dei comandi vocali impartiti agli assistenti. Il tutto con modalità conformi a quanto previsto da normative come il GDPR che in Europa regola in modo piuttosto stringente il trattamento dei dati.
La privacy come priorità assoluta
Di certo Google, Amazon, Apple e gli altri player di questo ambito non possono ignorare o sottostimare i feedback ricevuti: un timore manifestato, giustificato o meno, non può essere ignorato né messo da parte con una semplice rassicurazione.
Il successo sul mercato passa anche dalla capacità di spiegare l'impegno profuso ai fini della tutela della privacy convincendo gli utenti della loro buonafede. Dopotutto gli scivoloni su questo fronte in termini di credibilità non sono fin qui mancati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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