Mettere piede alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna è sempre stato un grande piacere per me, nel cui caffè, il Caffè delle Arti, ho passato giornate intere anche a scrivere i miei libri. Quindi, dopo aver preso un Uber (come diceva Ricky Gervais «Sono come una Rosa Parks al contrario, ho lottato tutta la vita per non prendere un mezzo pubblico») mi addentro nella mostra che ha generato più polemiche negli ultimi mesi, «Il tempo del Futurismo», curata da Gabriele Simongini, sostenuta dal mistero della Cultura, e coincidente con l'ottantesimo anniversario della scomparsa di Marinetti. La ragione dei battibecchi? Questa mostra l'ha ideata la destra, non sia mai.
In realtà appena varchi l'ingresso delle polemichette politiche te ne dimentichi (anche se su queste tornerò alla fine, in cauda venenum, per tutti, tranquilli). Allestimento? Perfetto, anche perché gli spazi della Gnam sono già bellissimi. Dentro si respira l'aria di quella pattuglia che si ritrovò intorno a Filippo Tommaso Marinetti nel momento in cui pubblicò il suo Manifesto del Futurismo del 1909. È un viaggio all'interno di quei quadri, quei libri, quel pensiero che diventerà un'avanguardia artistica europea, la prima italiana dopo secoli, perché non vogliamo mica pensare che i macchiaioli potessero stare al passo con gli impressionisti, erano la versione provinciale dell'impressionismo.
Di opere ce ne sono tantissime, trecento opere e centocinquanta libri (prime edizioni meravigliose, molte le ho viste a casa del mio Giampiero Mughini, collezionista, tra le altre cose, di tutta l'editoria futurista), e gli oppositori si sono lamentati che sono poche, come se una mostra si basasse sulla quantità. Allestimento impeccabile, dicevo, c'è pure una replica dell'idrovolante da corsa Macchi Castoldi Mc 72, lì a simbolo dello spirito del futurismo. Fra tanti Balla, Russolo, sculture di Boccioni tra cui il famoso uomo che cammina, deformato dalla velocità, del 1913, intitolato Forme uniche della continuità nello spazio. Che fa il paio con quell'altro genio che passò nel futurismo come una scheggia, Marcel Duchamp, con il suo Nudo che scende le scale, mezzo futurista e mezzo cubista, prima di diventare il fondatore dell'arte contemporanea.
Anche le contrapposizioni sono ben riuscite, per dimostrare il passato (gli artisti orientati del passato, che erano contemporanei) e il presente (dei futuristi), come contrapporre il Sole di Pellizza da Volpedo del 1904 alla Lampada ad arco di Balla, realizzata solo 6 anni dopo, nel 1910. Il passato e la modernità, e la celebrazione della tecnologia, del mondo che cambia, della scienza. Con un certo intento di attualizzazione, dedicando una sala a Guglielmo Marconi, come anticipatore di Steve Jobs, che, diciamo la verità, ci sta e non ci sta, così come vedere un aeropittore che prevede i viaggi di Elon Musk sul Marte (e allora Verne?).
In ogni caso una bella mostra in cui perdersi anche per una giornata, focalizzandosi sull'avanguardia che ha celebrato la modernità, e dimenticandosi le critiche politiche, ma anche, d'altra parte, alcuni intenti politici che sono venuti fuori, due facce della stessa medaglia. Uccidiamo il chiaro di luna! Cementifichiamo Venezia! Erano questi gli slogan di Marinetti che troviamo sulle didascalie e nelle teche contenenti quei preziosi libri, contro il passato, per quell'epoca che cambiava alla velocità della luce, proprio quando Einstein scopriva la relatività e la velocità della luce, l'ebrezza a trecentomila chilometri al secondo. Questo è il messaggio, o meglio il clima, che passa dopo aver visitato la mostra, quello che ti resta dentro.
Non ci sarebbe bisogno di ribadirlo, ma stiamo parlando di una delle più importanti avanguardie del XX secolo, e come tale si opponeva al vecchio, al borghese, al kitsch. Per questo Marinetti, si legge anche nella mostra, scriveva: «Bisogna assolutamente cambiare metodo, scendere nelle vie, e dar l'assalto ai teatri e introdurre il pugno nella lotta artistica». Avvicinare i paroliberi, lo Zang Tumb Tumb, avvicinare questa rivoluzione estetica all'avvicinamento al fascismo del suo fondatore è non comprendere l'essenziale. Cosa facciamo, cancelliamo Pasolini o Sartre perché comunisti?
Allo scandalo hanno contribuito un po' tutti, tanto gli organizzatori quanto i politici, quanto i detrattori, da quando si è cominciato a parlare di cultura di destra e cultura di sinistra, cultura di destra contro cultura di sinistra, generando l'equivoco che la prima grande mostra della Gnam fosse una mostra fascista. Come se organizzare una mostra sul Cubismo o su Picasso significasse organizzare una mostra comunista. Non esiste una cultura di destra e una di sinistra, esiste la cultura, ragazzi, altrimenti resterebbe ben poco.
Non per altro tutti i regimi del XX secolo, dal fascismo al nazismo al comunismo, quelle fantastiche avanguardie, anche quelle influenzate dal futurismo, le hanno costrette a uniformarsi alla propaganda, facendole sparire.
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