I punti chiave
La finale a Wimbledon e il doppio successo al Queen's sembrano ormai un lontano ricordo per Matteo Berrettini. Il tennista romano vive da qualche mese una (preoccupante) crisi d'indentità e di risultati. Fino ad ora il 2023 è stato davvero un annus horribilis per Matteo. Dalla sconfitta al primo turno contro Murray in Australia, al ritiro ad Acapulco fino alla deprimente sconfitta contro Taro Daniel a Indian Wells dopo 50 errori gratuiti. A fine partita Berrettini ha fornito una risposta emblematica"sono finito in un buco nero".
Intanto Il tribunale dei social lo ha già condannato per la storia molto esibita con Melissa Satta, accendendo paragoni con il Panatta dei mille flirt. Ma se il moralismo da tastiera in fondo costa poco, in verità spiega ancora meno le difficoltà fisiche e di gioco del tennista italiano. Qualche elemento in più si avrà questa settimana a Miami, dove Berrettini godrà del bye da testa di serie, prima di affrontare il vincente della sfida tra l'americano Mackenzie McDonald e il colombiano Daniel Elahi Galan in Florida. Vedere una reazione, dopo le ultime settimane, sarebbe davvero un bel segnale.
Over and over
— sportframesit (@SportFramesit) March 17, 2023
Top seed Matteo Berrettini serving up some magic stateside#ATPChallenger | @aztennisclassic pic.twitter.com/D3Sw3piQqZ
Il coach di Berrettini
Vincenzo Santopadre è il suo punto fermo. Ed è molto più di un allenatore. È amico oltre che il suo consigliere. Matteo sa bene dunque che il suo successo lo deve in larga parte anche a lui, che lo ha forgiato e modellato fino a fare di lui un campione. Per questo fino ad ora non ha mai preso in considerazione, di conseguenza, l’idea di cambiare o di assoldare una figura che coadiuvasse il suo coach. Semplicemente perché è sicuro che il suo mentore sia tra i migliori sulla piazza. A differenza di altri giocatori per ora non ha mai valutato perciò l’idea di ingaggiare un super coach.
Santopadre ha raggiunto la centesima posizione come best ranking mondiale, giocando un solo match di singolare in un torneo dello Slam, a Wimbledon nel 1999, perdendo in quattro set (tutti finiti al tiebreak) dall’australiano Wayne Arthurs. Agli Internazionali d’Italia, invece, si legano le due vittorie più prestigiose nel circuito maggiore (oltre ai cinque Challenger conquistati in singolare): quella contro Karol Kucera nel 1998 e quella contro Magnus Norman nel 2001.
Essendo stato professionista prima di lui, Vincenzo ha cresciuto Matteo a livello tecnico ma soprattutto a livello mentale, partendo dal presupposto che il ragazzo avrebbe dovuto diventare lui il "coach di se stesso": "La partita, vinta o persa, conta fino a un certo punto in questo momento — disse nel 2017, quando il nome di Matteo iniziava a girare nell’ambiente —. A me interessa il livello di gioco, che gradino dopo gradino deve alzarsi sempre di più".
A cosa serve il super coach?
Paolo Bertolucci, ex tennista e capitano azzurro in coppa Davis, oggi commentatore su Sky, non ha dubbi a Berrettini ma anche a Musetti, altro azzurro in crisi, servirebbe un super coach. Lo spiega nella rubrica della Gazzetta dello Sport "Volée di rovescio".
"È l’ora di scelte drastiche per tutti e due. E con una parola che non può essere un tabù: super coach. Cioè una figura altamente qualificata che affianchi gli storici tecnici Santopadre e Tartarini e fornisca ai giocatori una prospettiva diversa da cui guardare il proprio tennis e quello degli avversari. Non si tratta di disconoscere il lavoro fatto fin qui, di recidere totalmente le radici originarie (anche se Sinner l’ha fatto), bensì di affidarsi a un pensiero diverso che possa completare e affinare il percorso intrapreso e in questi anni", ha scritto Bertolucci.
Poi ha aggiunto:"Il super coach, intendiamoci, non è un guru chiamato a stravolgere i riferimenti tecnici del giocatore, ma piuttosto un consulente che suggerisca la migliore gestione della partita, dai suoi aspetti tecnici e psicologici, prima e dopo. Nello specifico, Santopadre per Berrettini e Tartarini per Musetti, cui va certamente riconosciuto il merito di aver condotto gli allievi ai vertici, continuerebbero a occuparsi del lavoro quotidiano, parimenti fondamentale nella definizione di un campione a tutto tondo. E ogni rivoluzione che si rispetti può anche agire più in profondità, magari portando nuove competenze anche nel delicato settore della preparazione atletica".
Persino Roger Federer, dopo tanti allenatori-amici, da Peter Carter a Peter Lundgren, da Severin Luthi a Paul Annacone a Ivan Ljubicic, sentì l'esigenza di legarsi a Stefan Edberg e i miglioramenti del campione svizzero col rovescio furono evidenti. Nel corso della sua carriera Novak Djokovic passò da Agassi a Becker, ottenendo molto di più da Goran Ivanisevic, grazie al quale ha fatto un decisivo salto di qualità al servizio. La collaborazione più fruttuosa finora, è stata quella fra Andy Murray e Ivan Lendl, grazie alla quale lo scozzese riuscì a fare il salto di qualità mentale vincendo Wimbledon.
Guardando più da vicino al nostro tennis Jannik Sinner non ha avuto problemi ad abbandonare lo storico allenatore Riccardo Piatti, che ha affiancato al fido
Simone Vagnozzi l'australiano Cahill, ex coach di Agassi e Halep. E i progressi si sono visti subito. Farà la stessa scelta anche Berrettini? Difficile dirlo, ma di sicuro è necessario che Matteo ritrovi prima se stesso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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