Quanto sta andando bene, a questo giro. Gioca un tennis fluido, disinvolto. Colpi distribuiti con volontà e passione, niente racchettate piatte. Per la prima volta si sente a suo agio anche qua. Il finire degli anni Settanta gli sta elargendo nuove consapevolezze. Si sente più maturo, Adriano Panatta, astro luccicante del tennis nazionale. Sa che adesso conta vincere anche qui, sulla terra rossa di Montecarlo, dove per solito veniva soltanto a fare serata nei locali. Si guarda allo specchio e scaccia quel pensiero con le mani. Ragazzate, niente più. L'uomo Panatta ha una missione da compiere. Al bando le serate e gli eccessi. Al diavolo il tirare tardi. Ora deve vincere anche qui. Punto.
Così eccolo approdare in semifinale, complice una settimana condotta con le balsamiche cadenze di un autentico asceta. Ha mangiato bene, non ha tracannato alcolici, non ha messo piede fuori dalla camera d'albergo se non per allenarsi, è andato a letto presto ed ha goduto del magnifico potere del sonno ristoratore.
Adesso dovrà scontrarsi con Guillermo Vilas, che è uno dei più forti del pianeta, ma in fondo pure lui siede con le gambe accavallate nella ristretta cerchia. Sta giocando bene e sente di poterlo battere. Si vede già proiettato in finale. Mentre acquisisce confidenza grazie a questi pensieri, trilla però il telefono. Dall'altro lato del cavo erompe una voce squillante: "Sono Paolo, Paolo Villaggio. Io e Ugo (Tognazzi) veniamo a trovarti stasera".
"Oddio", reagisce subito Panatta, prefigurandosi quello che sta per accadere. "Sì ragazzi, d'accordo. Ma io devo andare a letto presto, domani ho la semifinale". Loro non si fanno problemi: "Tranquillo, saremo lì per le otto, mangiamo e vai a dormire". Qui, nell'accettazione di Adriano, si insinua il germe della prossima disfatta.
Perché - l'ha ricordato lui stesso a Radio 2 - Villaggio e Tognazzi arrivano alle undici e mezza di sera. "No ragazzi, ormai è troppo tardi". Niente, Villaggio in particolare non ci sente e lo convince ad uscire per andarli a prendere. Vanno dunque a cena, formando una comitiva di una decina di persone. Gli aneddoti si sprecano, il vino scorre, le lancette pure. I bagordi sono serviti. Panatta scruta l'orologio, preoccupato, ogni quarto d'ora. Dice sempre che deve alzarsi e andare, ma poi resta incollato alla sedia.
Si fa l'una di notte. D'un tratto Tognazzi è sparito. Villaggio chiede a Panatta dove sia: "E che ne so io?". Paolo implora Adriano di andarlo a cercare, perché lo conosci Ugo, si sarà sicuramente cacciato in qualche guaio. Esce quindi dal ristorante Panatta, procedendo disperato verso i giardini che fronteggiano il Casinò, in ansia galoppante per l'ora che s'è fatta. Ad un certo punto, da un cespuglio, si leva un rantolo. "Adriano! Aiutami, sto morendo".
Tognazzi è riverso, le mani strette sulla pancia. Si è ingozzato ed ha ingurgitato ettolitri di vino. Una terribile indigestione. Adriano non ne può più: "Perché non muori e basta, così posso andare a letto?". Ma certo comprende di non poter essere cinico fino a questo punto. Lo solleva, carica il peso su una spalla e lo trascina al ristorante, dove Villaggio lo rimprovera aspramente: "Ugo, non si fa così".
Sono ormai le due e un quarto del mattino che precede l'incontro con Vilas. Finalmente riesce a farli salire in macchina per portarli in albergo. "Dove alloggiate?". Sguardi straniti. "Non lo sappiamo". Tutto molto vago, come ad ogni uscita con quei due. "In che senso non sapete qual è il vostro albergo?". "Prova qui, gli risponde Villaggio".
Scendono all'Hotel de Paris, ma si sono sbagliati. Stessa scena all'Hermitage: altro fiasco. Al terzo tentativo Villaggio si ricorda giusto. Panatta può finalmente andare a letto. Sono le tre del mattino.
Il giorno dopo si presenta barcollante, lo sguardo stropicciato, sulla terra rossa di Montecarlo. E Vilas gli infligge una ripassata tremenda.
Dagli spalti, lì vicino, Villaggio e Tognazzi lo incitano: "Dai Adriano, dai! Ma che fai?". Lui si avvicina e gli sputa. "Avrei potuto vincere di più in carriera - ha dichiarato in seguito - ma serate come questa mi capitavano spesso".
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