L'America dell'odio: bersaglio Trump

Il post di Musk (poi cancellato): "Nessuno proverà mai ad assassinare Biden e Harris"

L'America dell'odio: bersaglio Trump
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«Nessuno tenta di ammazzare Biden o Kamala». La battuta postata su X e poi cancellata da Elon Musk fa inorridire le «anime belle» americane e nostrane. E le indigna assai di più del secondo tentativo, in soli due mesi, di spedire all'altro mondo il candidato Donald Trump. Al punto da dimenticare che invece di sparare a zero sul padrone di Tesla, accusato di seminare rabbia e odio, bisognerebbe forse interrogarsi sulle conseguenze delle incessanti campagne mediatiche e giudiziarie messe in piedi per affossare l'ex presidente. E su quanto il tentativo di criminalizzarlo e delegittimarlo lo abbia trasformato in una sorta di bersaglio da luna-park. Ma tutto questo dovrebbe anche far capire quanto l'odio partigiano stia annebbiando le menti e la capacità di giudizio dei tanti lib e dem che - da una parte e dall'altra dell'Atlantico - dettano le linee dell'etica politica e sociale. Tanta sinistra ipocrisia è però comprensibile. La battuta del miliardario Musk è, infatti, un dito infilato nella piaga di quel doppio giudizio che rode i cuori e le menti dei benpensanti allineati con Kamala Harris o - qui da noi - con Elly Schlein.

In quest'etica difforme il giudizio è sempre «a la carte». Il Trump che scrive di odiare la cantante Taylor Swift «colpevole» di dare il proprio sostegno alla campagna di Kamala è un pericoloso cavernicolo degno di finire in galera. O di venir messo alla berlina da televisioni e media nel nome del comune e «democratico» sentire. Se invece il presidente Joe Biden afferma, come è capitato a giugno, che «Donald Trump va messo al centro del bersaglio», l'infelice e velenosa battuta va derubricata al rango di svista semantica figlia dell'eccessivo trasporto o dell'età avanzata. Un concetto ribadito con allegra noncuranza anche all'indomani del 13 luglio quando il 20enne Thomas

Matthew Crooks tentò veramente di mettere il testone dell'ex presidente «al centro del bersaglio». In questo delirio restano esemplari le mosse del «democratico» Bill de Blasio, il poco rimpianto ex sindaco di New York, famoso per esser riuscito, in soli due mandati, a riportare la Grande Mela al degrado precedente la cura Giuliani. Nel 2020 pur di fare uno sgarbo a The Donald de Blasio fece dipingere un'enorme scritta «Black Lives Matter» sull'asfalto della Quinta Strada davanti alla Trump Tower scegliendo così di dare il proprio avvallo alle consuete violenze di quel movimento pur di indispettire l'avversario politico.

Ma ancor più inquietante, alla luce di quanto avvenuto 48 ore fa sul campo da golf di Palm Beach, è la continua sovrapposizione degli slogan usati dalla candidata democratica Kamala Harris e dal fallito attentatore Ryan Wesley Routh. Il 31 luglio, durante un appuntamento elettorale a Houston, la candidata democratica spiega che in caso di vittoria di Trump «sarebbero in ballo le nostre libertà fondamentali così come la democrazia». E ripete quel mantra durante un altro incontro svoltosi poche ore dopo. In pratica gli stessi concetti utilizzati da Routh nei post disseminati su X in cui parla di «libertà e democrazia a rischio» ricordando che «non possiamo perdere».

Ma anche lo stesso assillante dogma rilanciato dai principali media americani pronti a ricordare, come fanno quotidianamente New York Times e Cnn, che con Trump di nuovo alla Casa Bianca la democrazia sarebbe in serio pericolo. Quanto basta per far aleggiare nella mente degli americani meno equilibrati che, forse, l'unico mezzo per evitare quella minaccia non è più votare, ma bensì sparare.

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