Tony & Fulmini / Che Dio e Michel ce la mandino buona

Le formazioni sono quelle annunciate. Prepariamoci alla frase di rito che verrà pronunciata in diretta via digitale terrestre da­gli­inviati Rai e consorterie televisive e radiofo­niche

Tony & Fulmini / Che Dio e Michel ce la mandino buona

Le formazioni sono quelle annunciate. Prepariamoci alla frase di rito che verrà pronunciata in diretta via digitale terrestre da­gli­inviati Rai e consorterie televisive e radiofo­niche. Se c'è una cosa, nel football moderno (che spaccia quotidianamente la 'comunica­zione'), se c'è, dunque, una cosa che non vie­ne mai annunciata, se non dall'altoparlante dello stadio, è proprio la formazione. Ultimi fuochi di una pretattica scioccherella, così co­me continua a essere idiota il regolamento Ue­fa e Fifa che permette alla stampa di assistere per soli minuti quindici agli allenamenti. Le porte chiuse sono un segnale che sa di muffa e di retroguardia, provare gli schemi senza os­servatori è pari a provare gli schemi senza av­versari. Diceva un allenatore argentino: «Io di­spongo benissimo i miei calciatori sul campo, poi, però si muovono».

Comunque alle ore diciotto le formazioni annunciate di Italia e di Spagna giocano la lo­ro prima partita dell'Europeo. Roba piccola l'Italia di oggi, secondo quello che passa il con­vento. La partita serve a entrambe per capire. Per sapere come sono messe, dove possono ar­rivare anche se la storia del football insegna che l'esordio, spesso, non coincide con l'epilo­go. L'Argentina perse la partita inaugurale di Italia '90 contro il Camerun ma andò poi in fi­nale contro la Germania. L'Italia fece lo stesso a Usa '94, scivolando contro la Repubblica d'Irlanda e arrivando, un mese dopo, a giocar­si la finale contro il Brasile. Stavolta la trappo­la iniziale può essere però fatale. Perché Pran­delli è reduce da troppe sconfitte e da troppe nuvole tossiche, perché la squadra dice di es­sere compatta ma non sembra ancora un grup­po, perché le scelte dell'allenatore non sono coraggiose ma politiche. Le incertezze legate alla formula tattica, difesa a tre, De Rossi cen­trale, confermano la fibrillazione di chi non è sicuro nemmeno delle proprie certezze.

Il totale porta a una vigilia strana, di preoc­cupazione e di scaramanzia, ripensando agli umori grigi del mondiale tedesco, dimenti­cando le promesse tradite del torneo sudafri­cano. L'Italia è reduce da se stessa, pensa al fu­turo con Balotelli ma si aggrappa al passato di Pirlo, fa training autogeno cercando di caccia­re via i veleni ma sapendo benissimo di non avere la testa sgombra dagli stessi. Stavolta i nemici non sono i giornalisti (a parte alcuni so­liti docenti di diritto e depositari dell'etica al­trui, foglianti soprattutto di Repubblica ) ma i magistrati, categoria sodale agli arbitri, laddo­ve la giustizia non è uguale per tutti. I Prandel­li d'Italia hanno questo comune sentire, man­ca il leader, manca la voce autorevole, manca il padre di famiglia ma almeno, rispetto all'ul­timo periodo lippiano, non ci sono voci arro­ganti, si procede con le mezze luci con la vo­glia grandissima di accendere gli abbaglianti alle otto di stasera, dopo aver fatto fessi i cam­pioni del mondo e d'Europa. I quali non è che stiano tanto meglio di noi.

Le assenze di Puyol e Villa sono pesanti poi c'è la grana dei parenti serpenti, quelli del Real Madrid fingono di dia­logare con quelli del Barcellona, le baruffe del­la Liga si trascinano anche in nazionale, tra Pi­què e Xabi Alonso c'è una brutta aria da corri­da, ma non si sa chi sia il toro e chi il torero; tra Sergio Ramos e Busquets idem come sopra. Per fortuna tra gli azzurri non c'è Muntari. Ba­stano e avanzano le procure. Comunque si gioca. Che Dio e Michel ce la mandino buona.

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