Il mio regno per un gol. Meglio se ne arrivassero un paio, di gol naturalmente, la merce pregiata di cui è fatalmente sprovvista la Nazionale di Marcello Lippi al mondiale in Sudafrica e in questo 2010 povero povero, appena 4 nelle sei prove fin qui recitate. Conoscendolo, il ct viareggino è disponibile persino a mettere in palio il suo titolo di campione del mondo pur di trovare quei gol che oggi servono, come un caldo piumino per ripararsi dal freddo pungente, a riscaldare il cammino della sua Italia.
La Nazionale non può sbagliare la seconda prova per centomila motivi. Inutile elencarli tutti, basta segnalare il primo: la Nuova Zelanda, il rivale di turno, è alla seconda apparizione in un mondiale (altro precedente Spagna ’82: fosse che fosse un’altra coincidenza astrale), si è qualificata al culmine di un ballottaggio con il Bahrein, nella classifica Fifa è al posto numero 78, un gradino sopra l’Albania, uno sotto il Galles. Un solo precedente, datato giugno del 2009, l’anno scorso, prima della disastrosa Confederation cup: finì 4 a 3, Gilardino e Iaquinta si divisero da bravi sodali i quattro squilli di tromba. Sembra passato un secolo da quell’allenamento allegro e spensierato.
Una Nazionale di calcio senza gol è come una bellissima donna senza tette: un capolavoro divino incompleto. L’Italia ne ha seminato pochissimi lungo la strada che l’ha portata in Sudafrica: appena 4 nei primi 6 mesi del 2010 e di questi sigilli uno solo, Quagliarella nell’amichevole di Ginevra con la Svizzera, ottenuto da un attaccante. È vero, col Paraguay sono mancati i lanci ispirati di Pirlo, ancora indisponibile, ma il deficit si può e si deve spiegare con altro, molto altro. Intanto con lo schieramento inseguito da Lippi, quindi con la percentuale molto bassa di passaggi precisi, infine per il discutibile contributo di Camoranesi, in ritardo di condizione, una delle poche muse a disposizione di un gruppo ricco di corsa e di carattere, non certo di classe cristallina. Al debutto di Città del Capo mancarono in particolare i tiri in porta, oltre che la materia prima. Montolivo fu il più deciso a tentare la sorte dalla media distanza, De Rossi riuscì a far centro con una imboscata delle sue, su calcio d’angolo: due centrocampisti, come si capisce al volo.
Perciò nel collegio di Centurion, in settimana, hanno sentito Marcello Lippi lanciare qualche bercio ai suoi attaccanti impegnati nell’addestramento. «Prendiamo la porta, ragazzi, prendiamo la porta» la raccomandazione. «Non c’era motivo per alzare la voce, lo facevo per farmi sentire a 30 metri di distanza, ai miei non posso certo muovere rimproveri sul piano dell’impegno» la spiegazione postuma di quel siparietto presentato come un cicchetto solenne. Quando si cicca parzialmente la prima del girone, la seconda sfida diventa fondamentale per arrivare primi nel girone e consolarsi con un eventuale abbinamento favorevole negli ottavi di finale. «È vero, abbiamo molto da perdere, perciò lavoreremo sodo» la sua riflessione sull’argomento. Sul conto della Nuova Zelanda ha raccomandato la massima attenzione sui duelli aerei. «Sono ottimi colpitori di testa» il breve tratto descrittivo. Col Paraguay il gol subito da Buffon, incolpevole, prese le mosse proprio da un difettoso intervento nel mucchio centrale. Marchetti, il suo sostituto, è avvertito.
Invece di preparare una succosa rivoluzione, Lippi ha semplicemente ritoccato il disegno tattico di partenza: davanti Gilardino e Iaquinta si giocano quasi tutto, più il primo, impallinato dalla critica, che il secondo. Alle loro spalle un impianto più solido, avvitato sulla coppia De Rossi-Montolivo con ai lati il dinamismo di Pepe e l’eclettismo di Marchisio. Basterà? Deve bastare. «Siamo pronti, giocheremo palla a terra» la strategia di Lippi. Altrimenti meglio ricorrere ai rinforzi.
Totò Di Natale, con i suoi 29 gol seminati in campionato, è destinato a partire dalla panchina, come già accadde col Paraguay. Persino a Viareggio, la città di Lippi, in forza dell’antica milizia dell’attaccante di origine napoletana nella squadra locale, hanno firmato un appello per farlo giocare. Lui, il ct, ha tirato dritto, secondo costume, nella consapevolezza che «la Nazionale è cresciuta «nella condizione e anche nella convinzione». Senza lasciarsi deprimere dal grave infortunio toccato a Buffon, un altro colpo durissimo all’autostima. «Dobbiamo andare avanti, sul portiere non ho perso la speranza di recuperarlo» il suo monito.
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