Rifare Gaber senza scimmiottarlo? Non è cosa facile, anzi. Vuole dire intonare con voce morbida e sguardo stralunato le sue canzoni-manifesto, anticipatrici di importanti fenomeni sociali, scoprendone nuove dimensioni grazie a un approccio sincero e personale. Significa interrogarsi, commuoversi, e indignarsi ancora per un Paese dove contraddizioni e malcostume ritornano, puntualmente, ad inquinare il quotidiano. E, proprio allora, cè bisogno di qualcuno che artatamente fustighi la coscienza degli italiani, come faceva Gaber, che ad ogni strofa di canzone o ad ogni riflessione masticata tra i denti, graffiava via scaglie di qualunquismo e superficialità dalle coscienze. Chissà che cosa penserebbe di noi oggi il Signor G. Non lo sapremo mai. Possiamo invece indovinare cosa dirà Un certo Signor G lo spettacolo di Neri Marcoré che debutta lunedì al teatro Olimpico. Una ripresa che la dice lunga sulla bontà di un progetto teatrale avallato da Dalia Gaberscik e Paolo Dal Bon, il presidente della Fondazione Gaber. «Tutto nacque per caso. Quattro estati fa Dalia è venuta a conoscenza del mio amore per Gaber perciò mi ha chiesto di partecipare al festival dedicato a suo padre, che si tiene ogni anno a Viareggio» dice col consueto candore Neri Marcoré, che in quelloccasione si presentò sul palco per interpretare a modo suo Il dilemma (dal recital del 1980 Anni affollati).
«Quellestate fu una grande occasione per me, ero emozionato soprattutto di cantare sullaccompagnamento della sua band storica» ricorda Marcorè, che scegliendo di rivisitare unopera attuale nonostante i 40 anni di età (Il Signor G, di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, è datato 1970) torna in proscenio per esplorare la maschera beffarda e paradossale del cantautore e commediografo: un uomo sempre pronto a interrogarsi con coerenza, lungimiranza, spirito critico, e che ripeteva fino a sgolarsi «libertà è partecipazione». Lo spettacolo, diretto da Giorgio Gallione, siscrive nel solco dei classici-moderni, che tra istanze civili e ironia beffarda indagano sul destino delluomo moderno, ancora sospeso tra impotenza e razzismo, amore e utopia, consumismo e qualunquismo, voglia di essere normali e ansia da condizionamenti. Il recital di Marcoré è unemozionante esplorazione del Gaber-pensiero che parte da Lingranaggio tratto da Dialogo tra un impegnato e un non so, del 1972, e arriva al controverso Io non mi sento italiano dallomonimo disco pubblicato postumo nel 2003, anno della morte di Gaber. In mezzo, cè il meglio della produzione dellartista milanese tratta da Far finta di essere sani, Anche per oggi non si vola, E pensare che cera il pensiero.
«Nel realizzare lo spettacolo abbiamo seguito quel filo che secondo noi, Gaber con il suo compagno di scrittura Sandro Luporini, usava per cucire i suoi recital in un susseguirsi di monologhi e canzoni tratte dal suo immenso repertorio.
Repliche fino al 14 marzo.
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