"Il totalitarismo vuole portarci via la nostra identità. Perciò ha tanta paura della letteratura"

La scrittrice iraniana, da anni in esilio, parla di libertà, censura, Ayatollah e velo. E del suo primo libro su Nabokov: "Era contro ogni tirannia"

"Il totalitarismo vuole portarci via la nostra identità. Perciò ha tanta paura della letteratura"

A quasi vent'anni dal suo indimenticabile Leggere Lolita a Teheran («Era il 2003... il tempo corre...»), Azar Nafisi torna a parlare di mentalità totalitaria, libertà e letteratura in Quell'altro mondo. Nabokov e l'enigma dell'esilio (Adelphi, pagg. 448, euro 26). Il libro è uscito in Iran nel '94, tre anni prima che la scrittrice lasciasse per sempre il suo Paese per trasferirsi in America, ma è stato pubblicato in edizione anglosassone nel 2019, ed esce ora, in Italia, con una sua nuova «Premessa». Nafisi risponde al telefono da Washington, dove vive.

Azar Nafisi, che cosa è successo quando il libro è uscito nel '94?

«È andato molto bene, così hanno vietato una seconda edizione».

Perché?

«Perché l'avevo scritto io... E poi questo è un libro sovversivo, perché il suo obiettivo è parlare dei romanzi, in questo caso di Nabokov, nel contesto della realtà in cui viviamo».

Non si può?

«Vede, nel primo paragrafo io volevo raccontare di quando avevo letto per la prima volta un romanzo di Nabokov: era Ada, e me l'aveva regalato il mio fidanzato. Ma tutto questo era proibito, sia avere un fidanzato, sia, ancora peggio, che fosse americano... E questo era l'esperimento: scrivere un libro, di critica letteraria, che rappresentasse anche ciò che la mentalità totalitaria può fare; perché i romanzi di Nabokov sono antitotalitari, anche se lui non era uno scrittore politico o ideologico».

Com'è la mentalità totalitaria?

«Due romanzi di Nabokov, Invito a una decapitazione e Un mondo sinistro, raccontano come la mente creativa diventi il nemico della mentalità totalitaria, perché quest'ultima confisca la realtà e, anziché cercare la verità, crea delle bugie. Lo vedo accadere anche oggi, in entrambi i Paesi che chiamo casa, la Repubblica islamica dell'Iran e gli Stati Uniti. La mentalità totalitaria ha paura della verità, mentre la mente creativa si basa sulla verità: noi scriviamo per scoprire ciò che è oltre le apparenze. E poi il romanzo è per natura democratico, perché dà voce a tanti personaggi, perfino ai cattivi. Si vede anche in Lolita».

In che modo?

«Humbert Humbert impone sé stesso a una ragazzina di 12 anni. E questo è totalitarismo, perché il totalitarismo vuole controllarci e cambiarci: non vuole che tu sia te stesso, non te lo permette. È come il velo obbligatorio: non puoi apparire nel modo in cui sei, ma solo nel modo in cui loro vogliono che tu sia. E così Lolita è vittima di Humbert».

Che altro ci dice Nabokov del totalitarismo?

«I mostri che crea sono più complicati rispetto al nostro solito modo di pensare a un villain: si avvicinano a noi come persone sofisticate e rispettabili, come Humbert, un uomo che tutti faremmo entrare in casa nostra... O come un religioso in Iran, o la star di un reality tv, come Donald Trump».

Qual è il ruolo della letteratura?

«La letteratura è sempre in cerca della verità. Si occupa di indagare e di comprendere, non di giudicare, e perciò è così pericolosa per la mentalità totalitaria: l'immaginazione e le idee rivelano la verità, mentre il totalitarismo la nasconde, e per questo ha così paura della creatività e dell'individualità. Prenda il caso di Salman Rushdie».

Finito nel mirino di Khomeini.

«Rushdie aveva solo carta e penna come armi, non un esercito potente come Khomeini. Ma gli scrittori possono diventare così pericolosi, per le dittature e i dittatori, che vengono torturati e uccisi. L'Ayatollah lanciò una fatwa contro di lui».

Perché il romanzo è così potente?

«Per la sua struttura, il romanzo dà voce a personaggi diversi, ci apre agli altri, ci rende curiosi; invece il totalitarismo ci segrega e ci separa. Nabokov diceva che la curiosità è insubordinazione nella sua forma più pura. Un cattivo scrittore è colui che impone la sua voce su tutti i personaggi, che diventa un dittatore e vuole farti prediche. Il bravo scrittore è l'opposto».

Nel '79 lei tornò in Iran e vide in atto una «confisca». Che significa?

«Per sopravvivere e controllare la popolazione, la dittatura confisca la realtà, e lo fa in due modi: primo, attraverso la confisca della storia, del passato; secondo, imponendo il proprio stile di vita ai cittadini. Per esempio, nella Repubblica islamica ti dicono come devi vestirti, oppure non si può ballare, film e libri sono censurati, gli scrittori o i registi arrestati, come è appena successo a Jafar Panahi. Vogliono imporre la loro narrazione, quindi confiscano tutta la realtà».

Come si combatte?

«La mia, là, non era una lotta politica, bensì esistenziale, da donna, madre, insegnante, scrittrice, lettrice, amica... Mi vergognavo all'idea di poter diventare il genere di persona che il regime voleva fare di me. La gente protesta perché il regime vuole portare via la tua identità e la tua individualità. Ti dice: tu non sei quello che dici di essere, tu sei quello che noi diciamo che sei».

Spiega bene come le assurdità delle dittature superino ogni fantasia.

«La tragedia è che le persone, nella loro vita vera, vivono queste assurdità, e quindi esse diventano la realtà. Come si fa a cancellare Olivia da Braccio di ferro perché non è sposata? O mettere il velo alle galline nei libri illustrati per bambini?».

Che cos'è l'esilio?

«Ci sono diversi tipi di esilio, come spiega anche Nabokov. Quando ero in Iran, tutto ciò che chiamavo casa, Paese, famiglia era stato messo in discussione: perfino le parole erano state private del loro significato, e non potevo più parlare o scrivere nella mia lingua nel modo in cui volevo. Questo è vivere in uno stato costante di esilio, da outsider, come quando dovevo uscire col velo e mi guardavo allo specchio, e non mi riconoscevo: chi è quella persona?, mi dicevo».

La censura è sempre attiva?

«Sì, molto. La vediamo in tutto il mondo, in Iran, in Russia, in Cina e in certe tendenze che percorrono le società democratiche. Vedo la censura anche qui negli Stati Uniti, nelle università, nelle scuole, nelle biblioteche, perfino con roghi di libri».

Il suo nuovo libro, appena uscito negli Usa, si intitola Read Dangerously, «Leggi pericolosamente».

«Il totalitarismo è al centro delle mie preoccupazioni da 30 anni, ma quello che mi affascina non sono tanto i tiranni, bensì come noi, persone comuni, ci innamoriamo a tal punto delle personalità totalitarie. È così facile cadere nel totalitarismo...».

Perché secondo lei?

«Perché ci fa stare comodi,

ci toglie la responsabilità di pensare e di decidere. Pensare è fastidioso. Ho intitolato il libro Read Dangerously perché il leggere e lo scrivere sono antitotalitari: ed è ciò di cui abbiamo bisogno, oggi più che mai».

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